venerdì 18 maggio 2007

Mervyn Peake "Tito di Gormenghast"


Titus Groan ("Tito di Gormenghast" nella traduzione italiana), è il primo volume di una trilogia di cui solo i primi due capitoli sono stati tradotti in Italia (Adelphi, nella bella traduzione di Anna Rovano), opera del pittore e scrittore Mervyn Peake.
Il primo volume racconta i primi due anni di vita di Tito, figlio di Sepulcrio, settanteseisimo conte di Gormenghast, una sorta di castello-città, fatiscente e sconfinato, misterioso e quasi - come si intuisce alla fine del volume - vivo, ma in realtà il vero nucleo narrativo è la scalata verso il potere di Ferraguzzo, ambigua figura tra il malvagio e l'infantile, tra il rivoluzionario e l'arrivista. Ferraguzzo salirà, nel corso del racconto, dalla condizione di sguattero nelle cucine dell'obesissimo Sugna a quella di apprendista di Barbacane, il custode dei complicatissimi riti che regolano ogni attività del castello da tempo immemorabile. Sempre Ferraguzzo sarà la causa dell'incendio alla biblioteca di Gormenghast, evento che porterà alla pazzia e alla morte il già atrabilioso conte Sepulcrio, cui seguirà la consacrazione di Tito a soli due anni come settantasettesimo conte, evento con cui si chiude il primo volume.
L'intero racconto è però basato sul castello stesso e sulla rupe omonima che lo sovrasta, e sulle regole che sono alla base della tradizione che ogni conte De' Lamenti (Groan, nell'originale) deve impeccabilmente seguire. L'abilità di Peake risiede nella capacità di istituire una rete di connessioni tra i personaggi e lo sfondo, fatto di luoghi e soprattutto di riti e tradizioni, una rete che rimane sempre opaca: le regole del castello, per quanto ridicole ed evidentemente - all'interno della stessa narrazione - frutto di convezioni storiche sclerotizzate, hanno intorno a sè un'aura di sacralità che ci fa sembrare assolutamente normale e giusto che i personaggi del libro vivano, soffrano e addirittura muoiano per difenderle. Tito, che nel libro rappresenta innanzitutto il cambiamento, è allo stesso tempo il simbolo della continuità della stirpe. Ferraguzzo, l'intrigante, l'arrivista, colui che "non ha rispetto per le tradizioni", è l'unico, oltre al conte Sepulcrio, a percepire davvero l'importanza della biblioteca (cosa che non gli impedisce di essere causa del suo incendio) e della tradizione (che invece Barbacane e il suo predecessore Agrimonio seguono in modo meccanico), ed è l'unico che davvero si avvicini alla comprensione di cosa è il castello, l'unico capace di esplorarlo. Nemmeno dal punto di vista morale la figura di Ferraguzzo è chiara: è certamente privo di scrupoli e ambizioso, ma è anche in possesso di una sua strana etica (e benchè sia un solitario, rimane in mente la pagina in cui stacca a una ad una le zampe di un cervo volante dicendo sussurrando "l'eguaglianza è tutto!", e per un attimo balza alla mente la possibilità di una lettura antisovietica, che però non si riesce a intravedere in nessun altro punto del libro). Ancora più complessi alcuni personaggi minori: il dottor Floristrazio e la contessa, gli unici a non fidarsi di Ferraguzzo, le sorelle del conte, la contessina Fucsia, il cuoco Sugna e il domestico Lisca, nemesi l'uno dell'altro, che combatteranno all'ultimo sangue in alcune delle pagine più belle del libro. Tutti personaggi, dai nomi non a caso Dickensiani, si muovono sullo sfondo del castello, e la scrittura sembra seguire l'irrazionalità architettonica del castello stesso, labirintica, immaginifica, ridondante, composta da metafore e similitudini antinaturalistiche che si accavallano, diverse e a volte discordanti negli stessi paragrafi: la connessione tra il castello e lo stile di Peake è così evidente che quest'ultimo è meno convincente solo nelle poche pagine che narrano avvenimenti esterni ad esso.
Per tutto il volume quindi, si crea l'immagine di un mondo totalmente altro dal nostro, basato su riti e sentimenti che ci sono solo in parte comprensibili, ma assolutamente coerente e credibile, fino ad arrivare alla rivelazione, proprio nelle ultime pagine (che Anthony Burgess, nella prefazione alla traduzione italiana, trova eccessive: e detto da lui mi sembra un complimento, volontario o meno che esso sia), della connessione tra Tito e il castello, che ricomincia a respirare quando il settansettesimo conte, appena investito della sua carica, rientra in esso:
"Ecco, ancora un poco e sarà l'alba, in un incendio verde, e l'amore stesso si ergerà a lanciare il grido dell'insurrezione! Perché domani è un giorno nuovo - e Tito è entrato nella sua fortezza."