sabato 31 marzo 2012

Quelli che però è lo stesso



Segnalo questo bel libro, che mi ritrovo spesso a soppesare fra le mani e che in qualche modo mi ha cambiato la vita. Di solito si dice esagerando, ma in questo caso è appropriato. Una giovane professoressa al suo primo incarico in una scuola serale, che mi ha dato la spinta decisiva per tentare a mia volta, non come prof ovvio, ma come studente fuori tempo massimo. Che poi il motivo principale è che mi servirebbe il famoso titolo per un'altra cosa, ma forse quest'altra cosa poi si interromperà per cui il titolo non so bene a cosa servirà. Alcuni potrebbero dire a chiudere i conti. Può darsi. Non importa. Ci sono libri grandiosi che poi magari si leggono una volta e basta e ci sono libri più leggeri, che diventano dei dolcetti preziosi che lasciamo a portata di mano. A proposito, se qualcuno passando di qua dovesse leggere, sveli il contenuto della propria dispensa.

Una recensione come si deve,

e un incontro con l'autrice Silvia Dai Pra':

sabato 24 marzo 2012

UN DISEGNO UN SOGNO



“Ciudad Juárez, Messico: la città più violenta del mondo. Narcotraffico, guerre di bande, migliaia di donne stuprate e uccise. Due artisti ne percorrono le strade, ascoltano le voci, ritraggono i volti degli abitanti per cercare una scintilla di speranza. Un diario di viaggio, un intenso reportage disegnato che diventa un inno alla vita.”

Come si legge tra le pagine, cos’è che vogliamo capire? E com’è possibile che certi orrori accadano? Eppure c’è tempo per godersi una partita a canestro e di colpo “le sirene dei poliziotti suonano come nei videogiochi”. E poi ci sono i sogni di tutti.

Il Messico per me: le avventure di Tex, le maglie e le parate impossibili di Jorge Campos (uno dei primi dispiaceri calcistici fu la sconfitta ai rigori contro la Bulgaria durante USA ’94; no, non tifavo Italia, ero piccolo e stronzo, e nonostante Baggio, mi stava sul culo Sacchi e le partite mi parevano di una bruttezza infinita). Un vago senso di affetto per quel paese in fondo sconosciuto. Memorie cinefile sparse: Traffic, Non è un paese per vecchi, El Mariachi. Collateral. Quello che dimentico.

Femminicidio, Maquiladoras, l’immenso 2666 dell’immenso Bolaño, e poi I detective selvaggi, con un incipit fenomenale: “Sono stato cordialmente invitato a far parte del realismo viscerale. Naturalmente, ho accettato. Non c’era stata cerimonia di iniziazione. Meglio così.”


Bonus track (un nuovo progetto che vede coinvolto il mio amico bassista e compagno di gruppo):

martedì 13 marzo 2012

ECCE VIBRO!

HYSTERIA – UK 2011, 100’. Regia di Tania Wexler.

Dunque, è possibile scrivere una recensione facendo trasparire l’ammiccamento maliziosetto che perdura lungo tutto il film nel volto di chi guarda? Che poi in realtà non è mica tutto da ridere, che diamine, c’è la questione femminile, un’epoca di cambiamento sociale e scientifico, la lotta di classe; poi, se proprio vogliamo, possiamo anche dire che stringi stringi, è un film sull’invenzione del vibratore. Il film è divertente, soprattutto all’inizio, quando si vedono questi due medici, inappuntabili e scevri da ogni pensiero peccaminoso, praticare la stimolazione genitale alle loro pazienti “evidentemente” isteriche. Il gran dottore, proprietario dello studio, è convinto che almeno la metà delle donne londinesi ne sia affetta, per cui sotto con gli appuntamenti, agenda piena, donne che accorrono a frotte, e dagli e dagli il dottorino comincia ad avvertire dolore alle articolazioni della mano. Una vitaccia! Nel frattempo fa la corte alla figlia del gran dottore ( il dottore la chiamò… ), graziosa, chopina e frenologa convinta fino alla redenzione. Sempre più nel frattempo, il grande amico e benefattore del dottorino si diletta con l’elettricità, è uno dei primi a possedere un telefono e chiamare sconosciuti come lui, e fornisce le basi per la scoperta geniale. Un dispositivo che possa sostituire il dottorino che ormai, davvero, non ce la fa più. Infine, la sorella cattiva e suffragetta della graziosa di sopra, gestisce una casa per i poveri, scuola e ambulatorio. Lieto, lietissimo fine.

Appendici intellettualoidi e cultural esche:

per quanto riguarda la frenologia consiglio “Intelligenza e Pregiudizio” di Stephen Jay Gould, ottimo resoconto delle follie degli scienziati di un tempo e dei rimasugli odierni.

Per quanto riguarda invece i germi ( nel film il dottorino prova in tutti i modi a convincere i medici con cui lavora del pericolo dei germi, solo che all’epoca erano una novità, e quindi non era creduto; a noi farebbe ridere, eppure ), cioè per quanto riguarda i dibattiti tra scienziati c’è una curiosità di cui provo a parlare. Nel 1996 due fisici, Sokal e Bricmont, riuscirono a farsi pubblicare un articolo dal titolo “Trasgredire le frontiere: verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica” in una rivista di letteratura e scienze umane. L’articolo era una beffa, una roba piena di assurdità, ma fu preso sul serio. Poi, Sokal e Bricmont fecero un libro, Imposture Intellettuali, in cui prendevano in esame vari scritti di Lacan, Kristeva, Latour, Baudrillard, Deleuze, Guattari e altri, in cui ripetutamente venivano usati termini e concetti presi dalle scienze, senza che fossero stati realmente compresi, e senza che se ne capisse il motivo. Insomma, un comportamento quantomeno scorretto. Ma: un altro fisico, Lévy-Leblond, nel suo La Velocità dell’Ombra, riprende la vicenda e ne dà un’ulteriore visione, stavolta critica nei confronti di Sokal e Bricmont. In sostanza, è vero che i filosofi di sopra hanno fatto un uso a dir poco discutibile della fisica e della matematica, ma a parte il disprezzo mostrato nei loro confronti c’è una complessità di fondo che è sfuggita. Intanto che nelle discipline umanistiche c’è un uso della metafora che è fondamentale per la disciplina stessa, e poi che le scienze dure non sono immuni dalla mistificazione. Tanto è vero che nel 2005 tre studenti del MIT fecero a loro volta una beffa facendo accettare in un convegno d’informatica una presentazione fatta da un computer senza capo né coda. Per non parlare poi del vocabolario usato dagli stessi scienziati che si presta a confusione, e qui Lévy-Leblond parla del principio d’indeterminazione di Heisenberg che è stato mal compreso dai fisici stessi e mal divulgato etc. etc.

In un altro capitolo c’è pure un’interessante riflessione sulla divulgazione scientifica e sulla possibilità che hanno i comuni mortali di rimanere in contatto con dei campi del sapere sempre più specializzati al punto che gli stessi studiosi sono all’oscuro delle ricerche altrui. Insomma, davvero un bel libro.

Comunque, per l’eventuale lettore, faccio presente di non prestare molta fede alle mie parole, soprattutto per quanto riguarda i discorsi sulla scienza, che è complicata. Infatti, ora che frequento i corsi serali per recuperare gli anni di diploma in un istituto tecnico industriale, posso dire che nessuno dei piccoli esperimenti fatti in classe è mai veramente riuscito, è tutto un approssimarsi di cifre, controllo degli strumenti, formule provenienti da oscuri scienziati chiamati per iniziali maiuscole, una robaccia.




domenica 11 marzo 2012

TEATRO DEGLI ORRORI live@Urban, Perugia



Al concerto del Teatro degli Orrori bisogna andare preparati fisicamente e con la voglia di pogare, possibilmente vestiti leggeri, magari con delle scarpe anti-infortunistica. Alla fin fine il colpo più duro ricevuto è stato una testata femminile allo zigomo. Quasi niente in confronto al muro di suono sparato dai loschi e snelli figuri capeggiati da Pier Paolo Capovilla, dispensatore di buone novelle e bottigliette d’acqua da mezzo litro. Gran parte dei pezzi tratti dal nuovo lavoro, che non ho ancora ascoltato per intero e che su disco mi ha lasciato un po’ perplesso, e poi qualche perla dal secondo, Direzioni Diverse, La Canzone di Tom, A Sangue Freddo. Non ho visto molti concerti in vita, ultimamente me ne sono visti alcuni davvero belli, in ordine sparso Afterhours, Le Luci della Centrale Elettrica, Max Gazzè, Massimo Volume, Zen Circus, No Braino. Il Teatro ha confermato le aspettative, ovvero ne avevo sentito parlare come di un gruppo che “spacca”, e così è stato. Gran potenza, ma affilata, ben diretta. Poi momenti di respiro più dolci, che sono utili anche per rifiatare, stare fermi a prendere un po’ d’aria fresca, a lasciar asciugare il sudore, che poi si riparte.

sabato 3 marzo 2012

C'ERA UNA VOLTA...




LA FONTANA DELLA VERGINE - SVE 1960, 89'. Regia di Ingmar Bergman.
Le prime due cose che mi sono venute in mente appena ho cominciato a vederlo sono state che a quei tempi la vita facesse abbastanza schifo e però ci si meravigliava più spesso. Cioè, qualche giorno fa ho sentito una notizia che diceva che era stato sviluppato un transistor utilizzando un solo atomo. Avete capito? Quando giocavo con gli amichetti da piccolissimo si passavano giornate intere a discutere se fosse più potente la bomba atomica o il missile nucleare e oggi neanche mezza parola sul transistor. Io non viaggio con i taxi, chissà se almeno loro stanno diffondendo il verbo. Ma andiamo oltre. Il motivo per cui ho visto questo film è che in una recensione del film I Spit on Your Grave veniva nominato come antecedente e precursore del genere Rape&Revenge. Quello che non immaginavo è che non solo la storia ma anche lo stile di regia ed alcuni particolari sono stati presi ad esempio, e infatti il film di Zeir Merchi, mi riferisco a I Spit On Your Grave, è quello che nella prima parte si distacca dal filone in voga nei '70, per lasciare solo una testimonianza, potente e terribile. Ne riparlo più avanti. Torniamo al film di Bergman, bellissimo, che racconta la vicenda di uno stupro nei boschi in un lontano medioevo. Storie di questo genere hanno sempre fatto parte di leggende e miti, ogni volta mi stupisco, ma vale sempre l'adagio "niente di nuovo sotto al sole". Una famiglia molto ricca, la cui figlia vergine deve recare doni nella chiesa lontana, dei contadini a dare una mano, e una serva incinta ormai da qualche mese ( anche lei violentata ), che prega Odino, e inizialmente non ci avevo fatto caso. Un giorno la figlia deve partire per il solito omaggio ( qui c'è una scena per me comica, nel senso che la sera prima la giovane aveva ballato con alcuni uomini, e la madre severa vuole sapere ogni dettaglio, e poi il giorno dopo prima di partire a cavallo le offre una ciotola di birra, a stomaco vuoto. Vabbe' ) e chiede di portare con sé la serva. Sarà vittima ( stuprata e uccisa ) di tre pastori, che poi andranno a chiedere ospitalità proprio ai genitori di lei. Il film è permeato di preghiere, nonostante poi al regista interessavano la violenza e la vendetta, ma le parti più riuscite sono quelle d'azione, lasciate vivere quasi nel silenzio, che lasciano ammutoliti.

Questa recensione si interrompe più o meno, perché in qualche modo vorrei parlare più a fondo di I Spit On Your Grave, ma in realtà è un film che sconsiglio di vedere ( il titolo originale era Day of The Woman, in Italia tradotto Non Violentate Jennifer, c'è poi un remake di un paio d'anni fa ), nonostante e proprio per il suo forte impatto, e per lo squallore. Ma se nel film di Bergman c'è la possibilità di ricostruire un mondo, con le sue usanze, e dei personaggi, nel film di Merchi, America anni '60 o 70', ci sono posti sperduti nelle campagne in cui ci si ferma solo a far benzina. E dalle storiacce dei tempi antichi finite nella "letteratura bassa" smerciata dagli editori ambulanti ( come ho appreso leggendo "La Cultura Degli Europei" Donald Sassoon ), si è arrivati ai film detti d'exploitation e più in generale dell'orrore.



Infine un link al sito zero violenza donne