venerdì 28 novembre 2008

Fedone

Quando mia nonna è morta, volevo raccontare a tutti di quella volta che siamo andati assieme a votare. Avevamo lo stesso seggio ed era una delle prime volte che prendevo la macchina.
Tornando a casa le ho chiesto cosa avesse votato.
- Comunista. Come sempre.

In cucina (due stanze più in là di quella in cui c’era la bara ancora aperta e il cadavere giallo chiaro di mia nonna) si riusciva quasi a ignorare mia madre e mia zia impegnate a piangere.
Io, mio fratello e un misto di cugini e zii non direttamente imparentati con la morta, bevevamo un caffè dopo l’altro, indecisi se passare al vino.
Mio fratello era quello più infastidito e stanco.
- È che è la stessa scena, come quando è morto il nonno, uguale.
Gli chiedo come dovrebbe essere.
- Io non ci credo che soffrano così tanto. Nessuno soffre così tanto. Era un mese che non parlava, che vomitava roba nera..
- Max….
- No, lo sapevano. Wolki mi sembra quasi più normale.
Non mi andava di spiegare i soprannomi dei miei familiari.
- Chi?
- Mio zio. Il marito della sorella di mia madre
- Che ha fatto?
- È arrivato ubriaco. Ha dato gli auguri a tutti. Per fortuna mamma e zia Elena erano fuori della stanza, in quel momento.
Ripeto la domanda a mio fratello: Come dovrebbe essere?
Non so se ho fatto bene a chiederglielo, perché mio fratello esagera, e oggi ha un pubblico che vuole essere distratto. Non gli lascio il tempo di parlare e chiedo se qualcuno vuole un altro caffè. Anche stavolta nessuno ha il coraggio di chiedere da bere.
Mentre preparo la caffettiera, sento mio fratello che ha comunque deciso di rispondere:
- Dovrebbe essere come nei film americani, no? Tartine fredde, vino ghiacciato. Una specie di aperitivo dove tutti sono un po’ mosci. La vedova inconsolabile, il parente distrutto dal dolore, la figlia in lacrime e per l’unica volta con un golfino che le copre anche l’ombelico, il marito o il figlio con un bicchiere di whisky e ghiaccio, tutti accucciati sul divano. Hanno pudore a farsi veder piangere. Al limite lo fanno quando ti portano a vedere la camera della persona scomparsa, dove tutto è ancora come quando lui era vivo.
- Gli americani non hanno mica zia Elena.
Mio cugino Gianni si mette a ridere forte. È grande e grosso, e in realtà è il marito di mia cugina. Suo padre è uno di quei personaggi di paese che conoscono tutti, e lui ne è venuto fuori timidissimo. Di solito non riesco mai a farlo ridere, ma questa gli è piaciuta.
Mio fratello ha voglia di continuare, però:
- Non è che mamma e zia Elena non stanno male, ma siccome a tutti i funerali a cui sono andati hanno visto fare queste scene, allora sentono il bisogno di farle anche loro, non possono farne a meno.
- Non mi sembrano cosi' preoccupate per le apparenze.
- Io non dico che stanno facendo le scene per gli altri. Le stanno facendo per se stesse, hanno bisogno di convincersi che stanno male come tutti gli altri che hanno visto star male prima di loro.
- Secondo me c’entrano le telenovele.
Questo lo dice mia cugina Eliana, la moglie di Gianni. Io mi sorprendo un po’ ad annuire.
Michele, suo fratello, a questo punto si incazza un po’, e ci dice neanche troppo fra le righe che siamo noi ad essere anormali, a stare di qua a chiacchierare.
- Guarda che non è che non stiamo male
Mio fratello sbuffa un po’ prima di quel guarda ,come fa quando parla con qualcuno che già sa che non capirà. Mi ha parlato per anni, in quel modo. Poi decide di continuare.
- Eliana ha ragione. Sono modelli diversi. Guardi i telefilm americani e vedi un certo genere di comportamento. Guardi le telenovele sudamericane, e ci trovi zia Elena. Meno brutta. E la gente si comporta in modo diverso, piange, urla e si dispera, ma in modo diverso, da tutte e due le parti. Noi abbiamo visto meno telenovele.
- Qua non sembra che uno se ne sia andato, sembra sempre che l’abbiano rubato.
- Eh?
Ogni tanto Eliana ha delle uscite che non capisce nemmeno suo marito.
- Dico: non è che non se l’aspettava nessuno. Quant’è che lo sapevate?
Lo sapevamo da mesi: si poteva indovinare la data, con un po' di fortuna. Altrimenti né io né mio fratello saremmo stati qui.
- E invece sembra che sia stata una cosa improvvisa, come se qualcuno l’avesse ammazzata.
- No, no, sono esigenze di scena.
Quando mio fratello si intestardisce su una metafora diventa difficile farlo smettere.
- È teatro di paese, si peta in scena e tutti ridono, si dice cazzo e tutti si scandalizzano, tutti i sentimenti vanno espressi e nessuno sta zitto in scena, sennò si risparmiava su una comparsa.

Mio padre deve essere da qualche parte a fumare. Se fosse qui, mio fratello parlerebbe di meno. Uno dei miei zii, il fratello minore di mio padre, e' qui in cucina con noi da stamattina. Avrà' bevuto cinque o sei caffè, e non ha quasi detto una parola. Io ho un po' di vergogna per quello che deve pensare di me e di mio fratello, che non siamo riusciti ad andare di la' dove c'e' la bara.
- Dovremmo parlare di lei no? Della persona che non c'e' più.
Nessuno gli risponde. Forse é anche per questo che non parla tanto.
Io e mio padre ieri sera siamo andati a scegliere i manifesti mortuari. Lui voleva delle cose troppo kitsch, e io non avrei voluto niente. Alla fine abbiamo preso una via di mezzo che non piace a nessuno, una cosa con una madonna a colori. Io avrei voluto qualcosa di classico: la serpe sotto i piedi, la mezzaluna, cose cosi', ma i modelli erano quasi tutti uguali: una signora bionda dall'espressione dolce e col velo azzurro. Una roba più' new age che altro. Alla scuola elementare, ogni anno poco prima di natale ci regalavano il diario della GAM, la Gioventù' Ardente Mariana. Ce lo regalavano quando tutti ormai il diario ce l'avevano, e cosi' finivamo tutti per buttarlo. In copertina aveva sempre la solita madonna, e dentro citazioni dai libri di non so chi. Non citazioni dalla bibbia, ma dai libri di uno della GAM. Lo buttavamo tutti, comunque. La Madonna in copertina assomigliava a quella dei manifesti per mia nonna.
Racconto a tutti dei tizi delle pompe funebri che ci mostravano il catalogo delle bare, e delle tecniche di vendita che usavano per convincerci a prendere una di quelle più' care.
- Poi sono venuti a truccarla e a vestirla. Non hanno fatto entrare nessuno nella stanza, mentre lo facevano. Chissà cosa fanno. Comunque non e' che abbiano fatto un gran lavoro: il cadavere giallo era e giallo e' rimasto, e non gli hanno neanche fatto i baffi.
- Ma con le malattie del fegato e' cosi'.
Mio zio ha detto un'altra ovvietà', ma questa volta tutti si dichiarano d'accordo. A mia nonna erano spuntati anche dei peletti sul mento, e io non mi ero mai accorto che se li tagliava. Quelli delle pompe funebri ci hanno messo sopra uno strato spesso di fondotinta.
Eliana comincia a raccontare di quando e' morta la madre di mio padre. Non e' una gran storia, ma tutti sembrano interessati. E' anche più' adatta all'occasione.
Mio fratello probabilmente vorrebbe andare in camera sua a leggere, e io me ne vorrei andare fuori a fumare con mio padre.
Ieri gli ho chiesto una sigaretta, e ha detto no. Dice che non fumo sul serio.
Chissà' se di la' piangono ancora.

giovedì 27 novembre 2008

Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra and Tra-la-la Band "God Bless Our Dead Marines"



Come molti brani dei Silver Mt. Zion, anche questo e' in realta tre o quattro canzoni una appiccicata all'altra; sono tutte belle, ma se avete pazienza, quella centrale e' meravigliosa.

(I love my dog and she loves me / The world's a mess and so are we /She tumbles 'long green, muddy fields / Sick with joy and glee / And as she dreams sweet puppy dreams / Whimpering gently)

venerdì 21 novembre 2008

la primavera del patriarca

Io Facebook lo porto un po' sulle palle, ma non vale la pena di stare qui a esplicitare questa mia vaga (comunque lo uso) insofferenza.
Pero': stamattina ho trovato nella posta il risultato di una "peregrinazione notturna" di un mio amico fra le foto di gente a me sconosciuta. Tra le quali c'e' questa, al cui centro troneggiano i lombi da cui sono stato co-generato.

Oltretutto, come in tutte le foto che risalgono a 30-35 anni fa, io e mio padre siamo spudoratamente identici.

giovedì 20 novembre 2008

Achab! capitolo 10


Come promesso, il tricologico e sardo capitolo 10 di Achab!, che serve, più che altro, a introdurre una nuova serie di strabilianti personaggi. Tutte le virgole in questo Achab! sono state messe a casaccio, ma non temete, cari amici: si tratta di Avanguardia. (E anche del fatto che la composizione di questo capitolo è stata persino più Jazz del solito).

mercoledì 19 novembre 2008

martedì 18 novembre 2008

l'emigrante che rimugina sulla situazione della patria

scusate, sono ovvietà, e magari anche alcune ovvietà sbagliate (leggasi: stronzate superficiali dette da uno che non ci ha capito niente, anche perché non ci si è impegnato, ma anche per limiti suoi, temo). Però durante la discesa in Italia ho avuto modo di stare un pò a Pisa (un posto in cui è impossibile non fare i conti con quello che accade e si pensa e si dice nelle università, anche non considerando che quasi tutta la gente che conosco è precaria universitaria), e alcune cose mi hanno colpito. Spiacevolmente. 

1) Le motivazioni che spingono i professori ordinari a partecipare alla mobilitazione studentesca, magari sfoggiando lupetto rosso e fare rivoluzionario, si dividono in poco nobili e per niente nobili. Le motivazioni poco nobili sono la difesa di quei fondi su cui si basa buona parte del loro potere, ma anche la sopravvivenza di un mucchio di precari, quindi ben venga la loro mobilitazione. Le motivazioni per niente nobili sono la paura che vengano cambiate le regole dei concorsi, su cui si basa TUTTO il loro potere. Il che mi crea un po' di scazzo intimo e la voglia che la riforma Gelmini passi e anche i tagli connessi, subito, senza pieta'. Poi penso a tutti gli amici precarizzati, e al fatto che la Gelmini non fa danno solo nell'universita' e mi pento di averlo pensato: pero' eccheccazzo.
 
2) Gli slogan universitari visti in giro per Pisa sono di un'idiozia disarmante ("Noi non pagheremo la vostra crisi", "se non ti fermi a firmare sei gia' COMPLICE"), ma non mi riesco a immaginare slogan che non lo siano. A parte la sacrosanta difesa dei fondi tagliati, non mi è sembrato però che la protesta universitaria avesse chissà quali grandi argomenti. Soprattutto, non mi è sembrato che ci fossero chissà quali grandi proposte (a parte un generico: "diamo più soldi all'università"). E poi, sarà che ho lavorato con ricercatori londinesi che studiavano il cazzobuffo teorico e prendevano soldi dalla General Motors, ma tra prendere soldi dalle aziende (soprattutto se fai ingegneria o farmacia) e andare sull'Aurelia, poco dopo Migliarino (questa la capiscono solo gli autoctoni) c'è una gran bella differenza. E poi, alcuni dei professori che ora si scagliano contro le privatizzazioni hanno già razzolato male. Vedi punto 1).

3) Al centro sinistra, cioè al PD, della protesta studentesca non frega una mazza. E' solo una delle poche cose capaci di mobilitare un minimo di persone, e quindi ci si accoda.

4) Soprattutto: il PD non esiste. 

5) Gli italiani (dico, in generale, non il campione statistico che io frequento, che è espressione totale dell'opinione contraria), sono perfettamente contenti del governo Berlusconi, e lo voteranno anche al prossimo giro. Così, giusto per non farci illusioni.

lunedì 17 novembre 2008

mini Achab! capitolo 9_1

Per ingannare il tempo, ecco a voi il primo degli Achab! minimalisti, con una confidenza che avevo registrato in quaderno del 2002, e che ho ritrovato nel corso di un lungo pomeriggio grottagliese.
In preparazione: un tricologico, sardo, Achab! 10.

venerdì 14 novembre 2008

L'Autoroute (Alias Freeway dei Bee Hive)



Questo omaggio alla parte peggiore della mia infanzia è comunque il video più bello che io abbia mai visto.

due buone notizie

Oggi, nel suo editoriale su Il Giornale, Mario Giordano dice che la sentenza della Cassazione sul caso Englaro per la prima volta gli fa venire paura di mettersi a scrivere.
Bene.

(post scriptum: persino sul sito del Il Giornale i commenti di circa l'ottanta per cento dei lettori - iscritti e quindi lettori fedeli, come si vede anche dal contatore dei commenti postati - sono a favore della sentenza della Cassazione e della decisione di lasciar morire Eluana. Magari sono solo i direttori dei giornali e i preti a essere cretini. A volte riesco a illudermi)

venerdì 7 novembre 2008

Estratti dal coso su New Italian Epic e Baricco che ora comunque non posso scrivere perché non c'ho nè l'uno nè l'altro sottomano

.......
Vista come dichiarazione di poetica, il memorandum di Wu Ming 1 sulla New Italian Epic non crea particolari problemi: è impreciso, visionario, velleitario, sborone come tutte le dichiarazioni di poetica (comprese quelle a posteriori).
Il problema è che anche questa, come ogni dichiarazione di poetica che raccolga un pò di consensi, che individui una realtà che non aspetta che d'essere chiamata con un nome qualsiasi, nel momento in cui ha successo crea anche una propria, specifica, forma di critica.
Il linguaggio della critica che si è agglomerata intorno alla definizione di WM1 è particolare e riconoscibile: prima di tutto dalle metafore che usa, che quasi sempre fanno riferimento al campo semantico della guerra, della strategia, della battaglia, oppure (altro campo metaforico preferenziale) all'energia. Ma ciò che distingue il linguaggio di questa critica più di ogni altra caratteristica è l'utilizzo della parola "importante" per indicare quei testi che sono capaci di rientrare nelle categorie fondanti la poetica della NIE ma allo stesso tempo non possono essere dette letterariamente riuscite. Aldo Busi diceva che nessuna vita, nessuna biografia, nessuna storia è capace di diventare letteratura: l'unica cosa capace di farlo sono le parole messe una dietro l'altra nel modo giusto, che è l'unico modo possibile.
La critica che ha assunto come proprie linee guida quelle della NIE non individua solo opere riuscite o meno, belle o meno, vere o meno: individua opere importanti, opere con cui "bisogna fare i conti" (altra locuzione frequentissima, negli scritti dei Wu Ming, in quelli di Genna, nelle pagine di Carmilla...): il valore di un'opera va ricercato nella ricerca contenutistica (per quanto essa sia trascinata e inclusa in una ricerca sullo stile e sul punto di vista, e a volte da una riflessione non scontata sulla letteratura di genere, altrimenti staremmo qui a parlare di saggi), in quello che ha cercato di dire attraverso forme che devono essere para-romanzesche. L'oggetto narrativo, il quasi-romanzo e tutti gli altri nomi con cui gli scrittori intorno alla NIE chiamano le cose che scrivono per sottintendere che non scrivono soltanto romanzi, ma che la loro è una riflessione importante e sbilanciata necessariamente verso l'esterno, diventano importanti per l'allegoria che, come dice Wu Ming 1 "prot: scappa sempre da una parte o l'altra"*, e che è un'allegoria del presente, o della sua genesi.
E' una cosa con cui credo i Wu Ming stessi (che ai loro personaggi e al modo in cui stanno in piedi da soli mi sembra ci tengano abbastanza) non sarebbero d'accordo, ma il linguaggio critico che si è coagulato intorno alle categorie del memorandum ha scelto questa come valore fondativo, come unico principio assiologico. Questo cambiamento mi sembra la cosa più importante di tutto il movimento, e la cosa più preoccupante, se io fossi uno di quelli che si preoccupa.
.....
(dovrebbe continuare, da un capo e dall'altro....)

*Mi fa un pò ridere il paragone tra la metafora del peto scelta scherzosamente da WM1 e quella presente nella premessa gnoseologica all'Origine del Dramma Barocco Tedesco di Benjamin (aspettate, ora ne faccio la versione a fumetti): anche perchè Benjamin è, significativamente, punto di riferimento sia per la NIE che per Baricco, ed entrambi mi sembrano averlo letto un pò a cazzo. Ma è una cosa che devo approfondire.

giovedì 6 novembre 2008

cari lettori, saltate questo post, grazie.

nell'eremo grottagliese, a parte leggere l'improbabile e godere della presenza di almeno una parte dei miei libri, non è che io stia facendo molto.
I miei ce la mettono tutta per aumentare la dose di storie assurde che avrei da raccontare, e insisitono a introdurre se stessi in casini variegati e improbabili. Io non riesco neanche a commentare, e quando mio padre mi da la sua versione dei fatti, neanche riesco a fargli notare le illogicità e vicoli ciechi di cui ha già disseminato gli ultimi mesi. Non ho la forza di fargli notare che le soluzioni che mi propone come colpi di genio sono peggiori dei problemi che dovrebbero risolvere. Mia madre non è neanche stupita, mio fratello sembra più scazzato che altro. A me il casino sembra di dimensioni così teratologiche che sbatterei la testa al muro, e non so se l'atteggiamento dei miei sia solo rassegnazione o che.
Trascrivo le cose che mi dicono, cerco di descrivere le facce delle persone che mi fanno incontrare. Almeno sono un campionario di personaggi notevoli. Mio zio Emanuele mi ha fornito ieri alcuni particolari dell'epica della mia famiglia indicibilmente tristi: ma almeno sono cose così lontane che potrò raccontarle senza far finta di essermele inventate.
Non so quanto serva neanche rimuginarci, che già domani sera me ne sarò andato, e la mia influenza su tutto questo sarà pari a nulla.
Che poi l'unico risultato è che scrivo questi post in cui comunque non posso raccontare niente e non si sa a che servono.

appunti per una ridefinizione delle categorie dell'estetica



Lo spazio definito dalla costellazione di concetti pantofole-mocassini-colore rosa-moquette blu dovrebbe essere sufficiente a dare una definizione positiva della categoria del brutto.

lunedì 3 novembre 2008

conversazioni tra intellettuali grottagliesi tra cui me

- Ma come mai non l'hai baciata? Non ti piaceva?
- No. bel culo. belle gambe. Però faccia un pò da scimmietta. Peletti qua.
- Sulle guance?
- Sì. Anche un po' di baffetti. E poi braccia pelosissime. Mani brutte, grandi, troppo grandi rispetto ai polsi.
- Menne?*
- No, menne niente.
- Allora no.

(*MENNE è il grottagliese standard per tette)