domenica 31 ottobre 2010

La prossima linea difensiva mi pare essere: OK, ammettiamo tutto, tanto quanto ci mettono a dimenticarsene?

Sempre per la serie: dagli amici mi guardo iddio, ecco un passaggio delizioso da un pelosissimo articolo di Giuliano Ferrara che vorrebbe difenderlo e anzi onorare il suo coraggio.




"Gli credo. Credo anche nel piccolo tocco dickensiano dell’uomo di cuore che si preoccupa di affidare a una sua protetta l’amica di qualche notte incorsa in una disavventura, la puttanella di strada con una storia critica alle spalle, e che per farlo rischia quella oscena cosa che è la reputazione inconcussa, tanto diversa dall’onore. Bravo, ha fatto bene a telefonare, a fottersene delle convenzioni, a mandare la Nicole a prendere Ruby in questura, e a spacciarla per la nipote di Mubarak, ciò che solo la sua fantasia e il suo senso del grottesco da commedia all’italiana potevano ideare per cavare d’impiccio quella ragazza di strada che era capitata chissà come a una delle sue feste, a uno dei suoi legittimi e barocchetti intrattenimenti domestici a base di Sanbittér, la bevanda che solo un maturo Ganimede, coppiere degli dei, può offrire a una festa."


Quindi, da questo passaggio si evince (a parte il tocco dickensiano ... in effetti Berlusconi come Scrooge è credibile: Scrooge prima dei fantasmi, ovviamente): 
1) è un uomo di cuore che affida a una sua protetta (la Minetti, ovvero un consigliere regionale in virtù delle sue COSCE) una "puttanella di strada" 
2) che colei che viene affidata è stata "l'amica di qualche notte" 
3) ne consegue, quindi (è un sillogismo abbastanza coerente), che Ferrara da per scontato che Berlusconi sia andato con una puttana minorenne. 


Benissimo. Cioè: MALISSIMO.
Basta dirlo chiaramente, no?


(trovo molto grottesco tutto il passaggio sul Sanbitter e sulla identificazione di Berlusconi con Ganimede, ovvero il giovanotto di cui Zeus si invaghisce e conseguentemente appecora - come se Berlusconi non avesse già abbastanza problemi)

venerdì 29 ottobre 2010

persistenza del dominio della gnocca (il prossimo romanzo di Houellebecq)

Piccolo quiz:  quali sono gli unici due quotidiani che sostengono ci sia in atto un volgare attacco mediatico al presidente del consiglio e allo stesso tempo mettono della figa in prima pagina e il titolo "bunga bunga" sperando di vendere qualche copia in più?

Esatto.

Fossi Berlusconi, mi preoccuperei soprattutto dei suoi diretti dipendenti.

(Tra l'altro: il "Neanche fosse Al Capone" non capisco se voglia riportare lo status di Berlusconi a quello di "soltanto un delinquente medio" o a quello di Simpatico Discolo(C) )



(Libero ancora peggio: parla di trappola - concetto che non esclude affatto la VERITA' delle informazioni usate - e poi in titolo e sottotitolo AFFERMA quello che dovrebbe negare: la persistenza della gnocca - splendido titolo! devo solo scriverci un romanzo su, ora - nella vita del premier e la reiterazione di un oscuro rituale nella villa di Arcore)

martedì 26 ottobre 2010

Slavoj Zizek - In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale

Slavoj Zizek
"In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale"
Ponte alle Grazie
26.00 euro

OVVERO: del coitus interruptus.
(Cercherò d'essere breve, anche se poi di singoli aspetti del libro di Zizek vorrei provare a parlarne più diffusamente, ma questa sarà un tentativo di recensione molto in generale, e anche molto tranchant, e temo anche molto superficiale)

Si arriva alla fine delle 572 pagine di In difesa delle cause perse e si vorrebbe dire a Zizek, come alla fidanzatina delle superiori, "ma che è, vuoi lasciarmi così?"

Faccio francamente fatica a credere quanto sia insoddisfacente la fine di questo libro che, di paradosso in paradosso, di provocazione in provocazione, mi stava comunque piacendo.

Perché prima di arrivare al dunque, il libro di Zizek è, in molti suoi punti, del tutto rinfrescante: anche se ogni tanto gli esempi di Zizek sono del tutto pretestuosi, anche se il secondo capitolo sull'ideologia della famiglia è un po' fuori contesto (pur essendo nel suo insieme decisamente divertente), anche se ogni tanto Zizek si riavvolge nella polemica accademica (le pagine contro l'interpretazione di Stavrokakis mi ha reso una volta di più conscio di quanto io sia ormai lontano dal bailamme delle pubblicazioni universitarie**), il percorso è chiaro, ed è tutto contenuto nel titolo..

Si tratta, più o meno, di dare una nuova interpretazione dei movimenti rivoluzionari dell'ultimo secolo (e non solo: anche il terrore rivoluzionario viene riabilitato) e dei loro risultati, senza negare la loro relazione con l'ideologia o la teoria politica alla loro base, ma cercando di capire la natura di questa relazione. Perché non basta dire che lo stalinismo non c'entra niente con il comunismo o che al contrario ne è la sua logica conseguenza. E idem per la rivoluzione culturale, per il terrore giacobino, ecc. ecc.

Si tratta, detto in poche parole, di riformulare una teoria dell'evento rivoluzionario che sia innanzitutto in grado di spiegare la differenza tra eventi rivoluzionari autentici e "non", una teoria capace di prendersi carico della violenza che si sprigiona negli eventi rivoluzionari e di quella necessaria a stabilire nuove regole quando si passa dall'ubriacatura rivoluzionaria al "mal di testa del giorno dopo".

Si tratta di creare una nuova teoria dell'agire politico che non prenda come inevitabile lo stato delle cose attuale (che non arrivi cioè a "naturalizzare" il sistema capitalista, a vederlo come sfondo inevitabile, come forma unica dell'interazione sociale ed economica) e che sia in grado di individuare i punti di forza su cui esercitare la critica, le contraddizioni interne al sistema, gli agenti rivoluzionari possibili, le possibili alleanze, ecc. ecc.

Zizek ci prova, e in alcuni momenti il tentativo è esaltante: non che la sua forma di marxismo-hegelismo-lacanismo sia particolarmente divertente (oltretutto il buon Zizek ha l'orribile vizio di saltare da un gergo all'altro, anche se il suo preferito è il lacanese), ma perché nel leggere alcuni suoi capitoli (su tutti, quello dedicato alla rivalutazione dello stalinismo) si prova qualcosa di simile alla trepidazione con cui si seguono le evoluzioni di un ginnasta particolarmente bravo, la simpatia con cui si risponde ai suoi movimenti tendendo i muscoli delle gambe, saltando sulla sedia, stringendo le mani. In Zizek c'è la passione del gesto atletico (intellettuale), e la speranza che ce la faccia.
E in certe cose ce la fa, o almeno mette in dubbio che l'interpretazione corrente sia quella corretta, e anzi insinua il dubbio che sia esattamente l'interpretazione opposta a quella corretta.

Mi rifaccio sempre al capitolo sullo stalinismo, che mi ha grandemente divertito: l'idea che lo stalinismo sia stato un fallimento perché troppo umano, che ha fallito proprio perché incapace di portare all'estremo quello che era contenuto nell'atto rivoluzionario, di applicare il terrore in tutta la sua anti-umanità, è un'enormità, ma è un'enormità che vale la pena pensare (anche se: no, non mi convince per niente), e che almeno libera delle energie per ripensare non solo la rivoluzione d'ottobre e i suoi effetti, ma anche la possibilità stessa di una rivoluzione al giorno d'oggi.

L'esercizio di Zizek si fa sempre più difficile man mano che si passa dall'analisi del passato alla definizione degli spazi, delle motivazioni, degli agenti e degli obiettivi rivoluzionari odierni (per non parlare: delle modalità, della rivoluzione, dei suoi effetti). Ma a questo ero preparato. Per dire: so che è più facile parlare di cosa è andato storto in passato e distinguere su questa base eventi rivoluzionari "veri" ed eventi "falsi" (cioè, reazionari, confermativi dell'ordine esistente)*** che fare una cartografia del "proletariato" oggi e degli spazi in cui può esplodere la violenza rivoluzionaria. E so che è difficilissimo farlo senza rischiare di dire corbellerie galattiche.

Il problema è che però Zizek tira via l'ultima parte del suo saggio: individua quattro campi di azione-attrito (ecologia, biotecnologie, proprietà intellettuale, nuove forme di segregazione-assenza dello stato) in cui può esplodere il sistema, e individua forse delle sinergie possibili tra i quattro campi. Ma poi non ha assolutamente nessuna idea di come andare avanti, di come fare a giustificare l'emergere in uno di questi campi di una coscienza politica rivoluzionaria (a parte pensare agli intellettuali del copyleft come possibili capi e guide di una rivoluzione nelle banlieue e tra i rifugiati ...) piuttosto che di un non-evento reazionario (sempre ammesso che la distinzione regga).
In più: il libro chiude individuando in uno dei quattro campi (l'ecologia) il campo possibile e immaginando per esso un campo di applicazione del terrore, saltando però a piè pari l'evento rivoluzionario e immaginando invece una dinamica del tutto interna alla politica degli stati, con sanzioni "terroristiche" per chi non rispetta il nuovo ordine "ecologista".
E' solo un'ipotesi, è vero, ma è tirata via e non prende in carico la nozione di evento che (condivisibile o meno) lo stesso autore aveva sviluppato per 500 e passa pagine.

Insomma: aspetto la prossima teorizzazione: per ora questo è, quando funziona e non si perde nel cazzeggio ****, un buon tentativo di rimettere in discussione alcuni supposti punti fermi della politica e della filosofia odierna (inevitabilità della politica degli stati, naturalità del capitalismo, ecc., realpolitik, fine delle grandi narrazioni e delle grandi ideologie politiche, ecc), ma ancora, semplicemente, una pars destruens e neanche pienamente convincente.

Però: consigliato. E' intelligente e utile, ed è più che abbastanza.


** Ovvero: Zizek spende un numero francamente eccessivo di pagine a dimostrare di non aver interpretato Lacan male, e io mi chiedevo tutto il tempo: ma che ti frega? la cosa fondamentale non è - giacché si parla di rivoluzione - l'aver detto o no cazzate sul mondo? Ma forse la mia posizione è ingenua: evitare di dire cazzate su Lacan o sul mondo sono due cose più vicine di quanto io pensi.

*** tra parentesi: la distinzione di Zizek tra rivoluzioni "vere" e rivoluzioni di destra (fascista e nazista, in primis) è comprensibile e condivisibile ma pelosissima e attaccabile anche da un bimbo di tre anni o da qualcuno appena appena retoricamente più accorto di Giuliano Ferrara

**** su libri, sinfonie e film: cazzeggio divertente, intelligente e in sé molto interessante, ma in secondo piano, se si cerca di leggere questo libro seriamente

venerdì 22 ottobre 2010

Achab! COMING BACK SOON

Negli scopi che mi sono prefissato da quando ho riaperto il blog (e che sono una sfida con me stesso per vedere se riesco a tenerlo vivo - anzi, più vivo di quanto sia mai stato - nonostante la quantità di lavoro che mi sobbarco da un annetto a questa parte) ci sono:
1. Recensire/ segnalare almeno 4 dischi al mese
2. Recensire/ segnalare almeno 4 libri al mese (ma non i classici, a meno che non siano sconosciuti e improbabili, o io non abbia chissà cosa di originale da dire su di loro - insomma, non voglio tediare nessuno con tutto quello che mi capita di leggere)
3. Pubblicare almeno 4 disegni al mese (che significa anche disegnarli, e in questi mesi non è scontato affatto), e di questi quattro che almeno 2 siano storie, ovvero Achab! (nella sua forma classica o in un'altra che su cui sto ragionando) e, semmai mi riesce di riprenderlo, Settecervelli.
Per ora sto tenendo fede ai primi due punti (con qualche occasionale difficoltà).
Per l'ultimo: ci stiamo attrezzando. Achab! ritorna presto.

Recuperi: Baby Huey "The Baby Huey Story: The Living Legend"

Baby Huey nei cartoni è un papero grosso quanto un essere umano grosso che viene per questo motivo emarginato dai suoi simili, con i quali cerca sempre di giocare provocando disastri vari.
Negli anni 60 (dal '63 al '69) un ragazzone enorme (sempre tra i 160 e i 180 kg) con una disfunzione ghiandolare e una gran voce iniziò ad esibirsi con questo nome, accompagnato dalla sua band, i "Babysitters"
Sembra che Baby Huey fosse qualcosa da vedere, sul palco, vestito con panni sgargianti da fricchettone fine sixties, mentre metteva in scena una forma di soul sempre più potente e psichedelico (per quanto il soul riesca mai ad esserlo, con il suo attaccamento ai piaceri terreni).
Comunque a Baby Huey avere problemi di salute non sembrava abbastanza, e si drogava pure. Per un attacco di cuore correlato all'assunzione di droghe (di più non sono riuscito a scoprire), Baby Huey muore nel 1970 in una stanza d'albergo, prima ancora che il suo primo disco venisse stampato.
Per colmo di stronzaggine, gli mettono il titolo "living legend", come se volessero prenderlo per il culo anche da morto.
Il disco però è bello: tiratissimo, potente, e la voce del papero gigante è fra le migliori che io abbia mai ascoltato.
Enjoy.
(su youtube trovate anche "A change is gonna come": ve la consiglio)

"Non bisogna avere paura, quindi , di tirare una conclusione radicale riguardo alla figura del leader: la democrazia di regola non può andare al di là di un'inerzia pragmatica utilitaristica, non può sospendere la logica del "servizio dei beni" ("services des biens"); di conseguenza, nello stesso modo in cui non esiste un'autoanalisi, dal momento che il cambiamento analitico può avvenire solo attraverso la relazione di transfert nella figura esterna dell'analista, un leader è necessario per suscitare l'entusiasmo per una Causa, per causare un cambiamento radicale nella posizione soggettiva dei suoi sostenitori, per "transustanziare" la loro identità.
Questo significa che la questione fondamentale del potere non è: "è legittimato democraticamente oppure no", ma: qual è il carattere specifico (il "contenuto sociale") dell' "eccesso totalitario" che appartiene al potere sovrano come tale, indipendentemente dal suo carattere democratico o non democratico?"
(Slavoj Zizek, "In difesa delle cause perse", p. 470)

Zizek (che sto leggendo in questi giorni e di cui parlerò per bene non appena lo finisco) mi ha appena suggerito che Berlusconi è il nostro analista (che lo si voti o no: è comunque l'uomo che incarna il potere oggi in Italia).

Facili battute da film porno a parte - e che comunque svelano una verità EVIDENTE - mi sembra una roba su cui riflettere: qual'è il contenuto dell'eccesso "totalitario" (o almeno non-democratico) berlusconiano, qual'è la sua "Causa" trasfigurante - transustanziante (a parte un'evidente reazione-paura nonché voglia di fottere gli altri e fare come cazzo ci pare in cui la figura di Berlusconi offre una facilissima identificazione)?
Temo che ci sia qualcosa di più ma non ho ancora afferrato il punto.
(ci sto pensando, volevo solo condividere)

giovedì 21 ottobre 2010

Momento Freak della settimana: Caro Fratello



In attesa di procurarmi "Tokio Police Gore" e "Frankenstein Girl vs Vampire Girl", ho iniziato a guardare la serie di Caro fratello, delirante anime tratto da un manga della stessa autrice di Lady Oscar e Jenny la Tennista.
In questa prima tranche del primo episodio (ma sul tubo ci sono tutti) ci sono, in rapida sequenza:

- Il pedofilo
- La bambina deficiente
- La mamma in kimono
- Un probabile futuro incesto
- Lady Oscar su un autobus
- La lesbica
- Il segreto dei pollici dipinti
- Il feticismo per gli shampoo alle erbe

Andando avanti migliora: c'è la tizia vestita da compagno nella rivoluzione culturale, Maria Antonietta, la Sorority, il pedofilo da grande e il suo amico gay, la Nemica Isterica e le due complici, gente che corre a casaccio, perversioni varie, droga e innominabili misteri.
Mi sto divertendo un sacco.

(grazie al forum delle Malvestite, per avermelo fatto scoprire)
 

mercoledì 20 ottobre 2010

Il GENIO, all'improvviso, e dove meno te l'aspetti



"Il test antidroga a quelli che vanno in tv nel pomeriggio? Meno male che Papa Ratzinger l'Angelus lo recita a mezzogiorno" 
(Massimo Giletti) 


(Massimo Giletti, vi rendete conto??)
(fonte: Repubblica)

martedì 19 ottobre 2010

Accademia della Crusca 2.0 : the PDL version

Oggi i due quotidiani più divertenti del paese sono impegnati a ridefinire alcuni lemmi del vocabolario italiano.
D'altronde, chi governa la lingua, governa la mente e il cuore del popolo, giusto?

Definizione a destra  numero1: SCOMODO
"Dicesi "scomodo" ciò che è perfettamente allineato all'attuale maggioranza di governo"
Esempi: Berlusconi ha fatto un discorso scomodo. La riforma dell'università non piace perché è scomoda. ecc.


Definizione a destra numero 2: DEMOCRAZIA (dalla prima pagina di Libero)
"Dicesi democrazia quel tipo di governo in cui ogni decisione della maggioranza può essere rovesciata a insindacabile e non motivato giudizio di una persona singola"
Esempio: il PDL è una democrazia, l'Italia è una democrazia (basata sul lavoro?), ecc.

tutto bello e incravattato


Nerchie incravattate, su Frogproduction!
(credo di averlo disegnato durante uno degli ultimi debrief, ma non ricordo quale, né a cosa stessi pensando)

lunedì 18 ottobre 2010

like a sad and fat Superman (or an unshaved Batman)

Durante il corso sulla prevenzione degli incendi non potevo non affidarmi ai classici e noiosissimi supereroi della DC.

Non voglio che Clara "Dei Cani"

Premessa Uno: I primi due dischi dei Non voglio che Clara (entrambi bellissimi) sono composti esclusivamente da canzoni d'amore. La parola amore e suoi derivati viene però pronunciata in tutto tre volte (solo nel secondo disco) e in contesti relativi all'amore fisico (2 volte il verbo "amare") o pesantemente non-romantici (in un'altra canzone che ora non ricordo).
Ho sempre interpretato questa cosa come un ottimo esercizio di stile, salutare rispetto all'orgia di rime in "ore" che popola la musica italiana.

Premessa  Due: I Non voglio che Clara, in un altro universo, avrebbero vinto già due o tre edizioni di Sanremo e io non mi dovrei trovare a difenderli e a propagandarli come esempio di musica italiana decente. Fanno bella musica (un pop italiano intimo e cameristico, basato sul piano e sulla chitarra acustica, con qualche apertura orchestrale), completata da una bella voce e da testi non bellissimi ma con dei buoni passaggi, non scontati. E soprattutto senza l'onnipresente ammmore che tutti unisce.

In questo nuovo disco (quattro anni dopo il penultimo) non si comincia bene: la parola amore è la decima della prima canzone, e per me questo è un segno.
Il pop da camera lascia lo spazio (soprattutto nei primi pezzi dell'album, poi la cosa si perde e si torna alle vecchie sonorità) a una produzione un po' shoegaze che non sarebbe neanche male (non ho niente contro le chitarre effettate, contro la batteria un po' innaturale).Quello che non convince fino in fondo sono però  le aperture nei ritornelli, mai così esplicite (è anche un problema di testi: a doversi inventare dei ritornelli - più melodici e da ripetere in punti diversi della stessa canzone - mi pare che Fabio De Min, il cantante-autore del gruppo, abbia qualche problema: non vanno troppo d'accordo col resto delle cose che dice), i testi un po' più melensi (anzi: più esplicitamente melensi, lo erano anche prima, ma bisognava entrarci dentro), l'esplicitazione di qualcosa che prima veniva per lo più accennato. E un certo avvicinamento - nelle canzoni più movimentate - a Dente.

In più, in un paio d'occasioni, De Min fa il giochino dell'orrido Bianconi dei Baustelle e cambia gli accenti alle parole per far tornare versi e musica (soprattutto nella deprecabile "Gli anni dell'università"). Ciò è imperdonabile.

Restano, belli, alcuni pezzi di alcune canzoni. In certi casi bellissimi, come l'inizio de "L'Estate" (che si rovina, ahimè, nel ritornello):

"A luglio diedi il cane ad un canile
in cambio di una libertà maggiore
e ad agosto, tra botte e sassaiole
per via della rivolta sindacale
restai solo, senza cane e lavoro
restai solo, con in bocca un gusto amaro.

E quando poi settembre fu alla fine
non potendo dire 'qui sto bene'
mi dissi 'qui meglio sparire'
e ad ottobre pensai bene
per primo me ne andai a puttane"

Insomma: una mezza delusione. A parte il titolo del disco, che è bellissimo.
Uffa.
Oh genti che modificate gli accenti delle parole italiane pur di infilarle nei versi delle vostre canzoni: io VI ODIO

venerdì 15 ottobre 2010

Sono famoso per non indignarmi, ma si può dire "stampa di merda", una volta tanto?


Allora: giornalisti e ministro sconvolti dall'atrocità di una bimba cristiana violentata e uccisa. Giustissimo. Sacrosanto, direi.
Peccato che il fatto che siano cristiane, e la foto con la scritta "persecuzione", non c'entrino una beneamata fava con la situazione (terribile, ma per tutt'altri motivi) che si dovrebbe raccontare.
 I casi raccontati in tutto l'articolo sono 2: uno è del 27 settembre (la violenza con omicidio finale). La povera bimba in questione viene rapita da 5 uomini, violentata e uccisa. Che i cinque fossero musulmani e non cristiani mi pare abbastanza facile, in un paese in cui i cristiani sono l'1,6 %.
L'altro caso risale ad aprile: la ragazzina in questione faceva la domestica in una casa di ricchi ed è stata violentata e messa incinta dall'autista della famiglia - solo incidentalmente musulmano.
Quindi: il fatto che le due bimbe fossero cristiane mi pare c'entri poco. Anche perché - incidentalmente - nell'articolo si racconta qualcosa di ben più grave, ovvero che gli stupri siano circa 100 al giorno, solo nella città di Karachi (100 al giorno: se anche struprassero seguendo le proporzioni statistiche dovrebbero stuprare una cristiana al giorno, e invece si limitano a due in sei mesi).
Ma dato che non sono cristiane, a noi, che ci frega?

giovedì 14 ottobre 2010

Il genio: Melissa P. "Tre"

Arrivo colpevolmente in ritardo.
Le Malvestite (a cui con gioia vi rimando), con cui non si può competere, hanno già ottimamente recensito l'intero romanzo, mentre io ne ho letto solo le pagine anticipate su Sette, il settimanale del corriere.
La visione parziale del capolavoro in questione ("Tre", edizioni Einaudi, 166 pagine, 16 euro) mi consente però di appuntare il mio sguardo e la vostra attenzione su perle minori dell'ultimo lavoro della somma scrittrice siciliana e che nell'analisi di un intero romanzo vanno giocoforza perdute.

"Tre" parla di un triangolo amoroso. Un triangolo pacifico: una donna e due uomini hanno una relazione, tutti scopano con tutti, tutti assieme, nessun contrasto, solo reazioni sconcertate da quei matusa che compongono la società borghese che li circonda.
La protagonista femminile è una giovane poetessa (di mestiere!!!!!! argh.)che a diciotto anni  - quando si sposa con un serio marxista (descritto come "marxista suo coetaneo, ecologista, primitivista e pessimista") che non si capisce cosa faccia nella vita se non il serio marxista (cosa per cui di solito non si viene pagati, anche se conosco una persona stipendiata dal Partito Leninista Italiano) - ha già scopato con chiunque le fosse capitato a tiro.

(NOTA: nell'universo di Melissa P, non solo la gente partecipa a sconvolgenti orge tra i dodici e i diciotto anni, ma a diciotto si sposa e mette su casa: con quali soldi e quale lavoro non si sa - a parte il marxismo e la poesia, famose attività remunerative. Tutti i miei amici poeti e marxisti infatti, hanno fatto a gara a sposarsi non appena finito il liceo, prima ancora di prendere la patente)

Esempio della prosa della Panarello quando si parla di sesso (i grassetti e gli occasionali commenti tra parentesi quadre all'interno delle citazioni sono tutti miei):

"Larissa, la più giovane, aveva nell'ordine fatto l'amore con cinque uomini, stessa sera, stessa stanza. Era poi stata avvicinata da una coppia con la quale si era limitata a tenere le cosce ben larghe per permettere alla lingua di lei di esplorare femminili segreti"

Ed ecco qui una prima crepa nel mondo trasgressivo di Melissa P.: dove sono le lesbiche? Nelle quaranta pagine di Cento colpi di spazzola ecc ecc c'era il gay, me lo ricordo. E pure  qua i due tizi del triangolo sono tranquillamente bisex. Ma le lesbiche? Possibile che per l'autrice l'evento più trasgressivo della serata raccontata sia che la protagonista se la sia fatta occasionalmente leccare (lei ovviamente non ricambia, come quegli "etero" che però vanno con altri uomini a patto di fare gli "attivi")?

Comunque: Larissa conosce, mentre è ancora sposata con il marxista serio e - proprio per questo - NON SCOPANTE (tesi berlusconiana, del resto, che quelli di sinistra la gnugna non se la godono), un marxista meno ortodosso, Gunther:

"Cacciato da tutti gli istituti e i licei di Roma per azioni sovversive e movimenti disturbisti [COSA??????? DISTURBISTI???]che gli piaceva chiamare "rivoluzioni estetiche", a diciotto anni aveva avviato il commercio dei pappagalli [PROFICUO, ci si immagina: d'altronde non si capisce come la gente faccia a campare, in questo libro]".

Il marxista triste e quello che alleva pappagalli fanno amicizia (salvo poi litigare per opposte visioni circa la politica mediorientale e bevendo assenzio - come no, tipico della gioventù romana). Ovvio che la protagonista "che da mesi non consuma più" perché "gli anni passati assieme avevano disidratato ogni fremito", si innamori di questa bestia bionda e disturbista.
Lei, d'altronde, è stanca di questa assenza di desiderio e ricorda ancora quando le bastava "ondeggiare sui tacchi per intravedere erezioni prepotenti" (MA IN CHE MONDO? Passa una sui tacchi e tutti con erezioni VISIBILI? Per piacere: uscire dall'universo Milo Manara e entrare in quello reale, la prossima volta) .

Qui, grossomodo si conclude l'anticipazione di Sette: le poche paginette sono piene di sconcertanti avverbi ("sovente"), di "ferite lente e invincibili", di "verità e purezza del loro amore", di attese del "momento in cui la materia incandescente di Gunther avrebbe sciolto i nodi di Leo" [EHM...], di "riverberi arcaici" etc etc etc.

Il libro intero deve essere bellissimo: se qualcuno si sacrifica e lo compra e lo legge tutto mi faccia sapere. E me lo presti, grazie.

martedì 12 ottobre 2010

Sufjan Stevens "The Age of Adz"

Caro Sufjan,
facciamo che io sono il maschio prototipico e tu la mia fidanzata, e che ti voglio lasciare, o meglio voglio i miei spazi e, insomma, scopare un po' in giro. Come tutti i maschi, ti dirò: "il problema non sei tu, sono io". Perché insomma, Sufjan, è un periodo che io voglio ascoltare musica sporca e vera, chitarre maltrattate, fiati portati ai limiti estremi, percussioni percusse (sì lo so che è percosse, ma vuoi mettere?) malamente, voci di cantanti che nelle robe ci mettono l'anima anche quando stonano. Figurati, è un periodo che ascolto persino delle robe soul, vale a dire: piacere fisico fine a se stesso.
Anche se tu fossi quello che eri quando ci siamo innamorati (ti ricordi? avevi appena pubblicato Illinoise ...) non so se troverei il tempo di ascoltarti per bene, nel mio attuale stato d'animo.
E invece, con che te ne esci? Con un disco in cui la tua voce è quasi sempre filtrata, e le tua baracconate orchestrali me le trasformi in elettronica minimizzata. Non che sia male: ogni tanto becchi gli stessi identici suoni dei Radiohead di Kid A (però, Sufjan ... sono passati dieci anni), e le canzoni, me ne rendo conto, sono belle, ad avere pazienza di riascoltarle e percepirne il nucleo (quello che, insomma, per farmi contento, potevi anche mettere su come facevi una volta, coi pianoforti e le chitarre e la batteria ecc ecc, non come ora, che ti sei lasciato andare e usi il sintetizzatore).
Insomma, Sufjan, mi sono reso conto che per ora non c'ho voglia di ascoltarti. C'ho provato cinque o sei volte e mi sono sempre arenato alla quinta canzone.
Facciamo che ci rivediamo fra un po'? Magari scopro che mi sono negato per qualche mese un disco spettacolare.

Intanto, se voi lettori ne avete voglia, ve lo metto qui sotto.


<a href="http://sufjanstevens.bandcamp.com/album/the-age-of-adz">The Age of Adz by Sufjan Stevens</a>

lunedì 11 ottobre 2010

una bella preghierina, e passa tutto


Beh, se è cattolico allora non può essere del tutto malvagio, giusto?

(in ricordo della migliore battuta dei Simpson di sempre: "nessuno che sappia parlare il tedesco può essere davvero cattivo")

(screenshot dal Corriere.it)

mercoledì 6 ottobre 2010

Recuperi: Jackson C. Frank "Jackson C. Frank" (1965)

La storia di Jackson C. Frank, più che per l'unico disco inciso nella sua carriera, è interessante perché è la storia di una sfiga tenace e invincibile.

La prima volta che Jackson C. Frank prende in mano una chitarra ha undici anni, si trova in una corsia di ospedale (e ci resterà per altri sei mesi) con ustioni sul 50% del corpo.
Charlie Castelli, il professore che gli regala la chitarra, è sicuramente ben intenzionato, ma non riflette sul fatto che, quando la caldaia della scuola è esplosa, la colonna di fuoco che ha sprigionato ha interrotto proprio la lezione di musica che Jackson stava seguendo, uccidendo quindici dei suoi compagni di classe. Non è una sorpresa, quindi, che per Jackson C. Frank suonare non diventerà mai una cosa semplice e gioiosa.

A 21 anni, con i soldi dell'assicurazione (dati in ritardo di dieci anni, ma va bene), Jackson C. Frank si trasferisce in Inghilterra per cercare di infilarsi nel circuito dei cantanti folk. Più o meno ci riesce e nel 1965 registra  il suo unico disco (imponendo di mettere schermi fra sé e i produttori e i fonici, in modo da non essere visto mentre suona, fobia che non faciliterà certo la sua carriera), con un non ancora famoso Paul Simon.
Il disco piace ma non fa sfracelli, è più una cosa da happy few.
Jackson C. Frank intanto si fa venire il blocco dello scrittore, si sposa con una modella (unica nota positiva della sua esistenza), da fondo ai soldi dell'assicurazione e se ne torna mogio mogio in America.

Intanto: uno dei due figli avuti con la modella muore di fibrosi cistica e JCF entra in depressione e dopo un po' viene internato in un istituto. Quando ne esce, povero e solo, torna a vivere con la madre.

Intanto tutti, più o meno si sono dimenticati di lui, anche se Simon e Garfunkel hanno fatto cover delle sue canzoni e Roy Harper gliene ha persino dedicata una.

Nell'84, mentre la madre è in ospedale per un intervento al cuore, JCF va via di casa (e sulla tempistica di questa fuga si potrebbero aprire scenari da Cognizione del Dolore) e va a New York, nel tentativo di ribeccare Paul Simon e rientrare nel giro della musica. Lo fa ovviamente alla cieca, non lascia recapiti a cui essere rintracciato e finisce a fare il mendicante. Ogni tanto quelli dei servizi sociali lo raccattano e lo ospitalizzano con la diagnosi di schizofrenia.

Intanto, nei primi anni '90, una delle poche botte di culo: un professore universitario di provincia si imbatte prima in alcuni dischi appartenuti a JCF, con dediche di Roy Harper e altra gente famosa, in un negozio di dischi di seconda mano. Fa delle ricerche e scopre qualcosa su questo cantante dimenticato. Dopo un paio d'anni, scopre che si trova a New York e decide d'aiutarlo: gli da qualche soldo, cerca di rimetterlo in contatto con gli amici di un tempo.

Si apre un periodo di speranza per JCF: un pomeriggio però, mentre è sul molo di New York nei giorni in attesa di tornare a Woodstock (dove abita e dove dovrebbe finalmente registrare il suo nuovo disco), viene colpito da un proiettile vagante all'occhio sinistro, e rimane accecato. A quanto pare dei ragazzini giocavano con un fucile ad aria compressa, e semplicemente JCF ha avuto sfiga.
Il professore che l'aveva riscoperto lo riporta a Woodstock e, poco tempo dopo (nel 1999, a 56 anni), JCF muore, senza essere mai riuscito a finire di registrare il suo secondo disco.

L'unico disco registrato è bello, a tratti molto bello: un po' un Nick Drake ante litteram, un po' folk classico e triste all'inglese, anche se fatto da un americano.
Incollo due pezzi, ma su youtube ci sono quasi tutti, e vale la pena ascoltarli.





martedì 5 ottobre 2010

L'inarrestabile ascesa della nuova nobiltà internazionale


Le visite occasionali al blog di destra per milano si rivelano highlights ormai irrinunciabili nelle mie giornate.

Qui scopro che il preclaro Roberto Jonghi Lavarini (vedi post del 27 aprile) continua la sua ascesa, accumulando incarichi e recuperando titoli a destra e a manca. (ed è anche un bell'uomo).

Mi pare notevole come dal 1486 in poi al casato di Urnavas non sia stata più riconosciuta una beneamata cippa.

Inoltre: voglio saperne di più sul VESCOVO DI SION, SIGNORE DEL VALLESE E PRINCIPE DEL SACRO ROMANO IMPERO, JODOCO VON SILLENEN
Vi prego, se in giro c'è qualcuno che studia questa, tra le mille e mille inutilità possibili, mi faccia sapere. 

lunedì 4 ottobre 2010

Gianni Celati - Sonetti del Badalucco nell'Italia Odierna

Gianni Celati
Sonetti del Badalucco nell'Italia Odierna
Feltrinelli, 108 pp
7,50 €

Verso questo libro ho sentimenti contrastanti. Per fortuna sono sentimenti di entità modestissima.
Il libro racconta la vita dell'attore Attilio Vecchiatto, del suo successo in Sud America, del suo amore incestuoso per la madre e, soprattutto, delle sue peregrinazioni in Italia, in cui ritorna da anziano, sconosciuto ai più.
Inframmezzati al racconto della sua vita, ci sono inseriti alcuni dei sonetti che Vecchiatto scrive dopo il suo ritorno in Italia: sonetti dedicati al tempo che passa, al degrado della società italiana, rovinata soprattutto da politici e televisione e al Badalucco, figura archetipa dell'italiano furbo, il peggiore di tutti, e di cui, per scoprire il nome basta sommare i due mali dell'Italia: il politico e la televisione.
E quindi: le parti para-borgesiane dedicate al racconto della vita dell'immaginario (però: l'insistenza sulla sua esistenza è una delle cose che mi piacciono del libro) Vecchiatto sono a tratti molto riuscite, anche se occasionalmente il tono classico dell'ispiratore argentino viene declinato in una maniera che si vorrebbe più ironica e che invece è solo un po' pecoreccia (per esempio: tutte le scene-omaggio a Dario Fo, che compare in ciabatte e vestagliona, dando la caccia al povero attore immigrato di ritorno).
I sonetti invece sono quasi tutti irresistibilmente mosci: quelli sulla vecchiaia e sulla morte, ci sta anche. Quelli sul Badalucco, sulla tv e sui politici mi piacerebbe mi stupissero, mi divertissero o mi facessero incazzare. Niente di tutto questo, purtroppo: si rimane con l'impressione di aver letto un Borges molto minore in cui, dopo aver letto della enciclopedia di Uqbar, nell'appendice se ne mette un pezzo, e parla di Pinerolo.

domenica 3 ottobre 2010

Neanche lo stand della salsiccia arrosto - Piccole cronache dalla Festa della Libertà di Milano /2

Poi non ce l'ho fatta ad andarci ogni giorno, alla festa del Partito delle Libertà.
Un po' perché ho lavorato notte e giorno, un po' per come è andato il mio secondo tentativo, di cui riesco a scrivere soltanto adesso.

Sono riandato alla festa la stessa sera del giorno in cui ho fatto la prima ricognizione (lunedì 27). Alle nove meno venti, con l'intervista a due ministri in programma di lì a venti minuti, immaginavo ci sarebbe stata una folla più corposa che all'una e mezzo del pomeriggio.
Non era così: scomparsi i turisti, poche anime si aggiravano tra gli stand.

Nel buio, colgo una particolarità del palco principale che durante la visita pomeridiana mi era sfuggita: sul palco, ovviamente sopraelevato rispetto allo spiazzo del castello, ci sono una decina di file di sedie (per le personalità importanti del partito?) e un ulteriore piccolo palco, sopraelevato anche rispetto ad esse, su cui probabilmente si esibirà Berlusconi. E' una rappresentazione abbastanza chiara della struttura del partito: capissimo in alto, maggiorenti a lui inferiori, popolo indistinto (niente sedie nello spiazzo, ne qualsiasi altro tipo di struttura se non i miseri gazebo di cui parlavo nello scorso post).
Lo stand dei libri in realtà è molto meno esteso di come mi ero immaginato: in realtà è un tavolo piccolissimo: il resto dello spazio è occupato da uno che vende il miele e che agita un bastone con in cima attaccata un'ape di plastica e da un altro tavolino con il salame e la scamorza, credo in libero assaggio. Benché affamato, non mi avvicino.
Il fatto che ci sia così poca gente (nell'intero stand a dir tanto dieci persone, compresi gli omini dietro le bancarelle) mi intimidisce: non vorrei che qualcuno mi rivolgesse la parola, non so se sarei in grado di reggere il gioco.
Mi allontano dalle bancarelle e vado verso lo spazio in cui c'è la mostra sul santo volto del premier e le sue avventure all'estero: c'è un po' più di gente, qui, e mi sento se possibile ancora più a disagio. Mi accorgo finalmente - tenevo lo sguardo così basso da non accorgermene, fino ad allora - che il mio camminare laterale e il mio sguardo sfuggente sono gli stessi di molti altri presenti. Capisco così che almeno metà dei presenti sono, come me, feticisti dell'osservazione antropologica.
Mentre ancora sto metabolizzando quest'agnizione, passa una ragazza in bicicletta.
E' bellissima, fa lo slalom tra la gente presente, pedala con la pedalata a ginocchia convergenti con cui pedalano le ragazze in gonna, e la cui tecnica non comprendo.
Mentre evita i passanti fischietta. E' evidente che non fa parte della festa, e che si trova a passare di là e che non lo fa neanche per curiosare. Mi guarda fisso per un attimo e nel suo sguardo leggo prima un riconoscimento e poi un "e tu che cazzo c'entri?".
Io le do ragione dentro di me, ma non riesco a non abbassare lo sguardo, perché non ho scusanti.

A quel punto ho capito che me ne dovevo andare, e che quel poco che doveva accadere alla Festa della Libertà doveva accadere senza che di me.

(In realtà: oggi al discorso del premier mi sarebbe piaciuto andare, per vedere chi c'era e come commentava. Ma ho temuto un travaso di bile, e ho tenuto fede all'ormai metabolizzato fallimento della mia decisione di raccontare l'evento)

venerdì 1 ottobre 2010

Assioma Accademico

Assioma: Dato un concorso universitario per soli titoli, vince sempre il candidato interno più vecchio.

Corollario: la vittoria non è pregiudicata dalla scarsa qualità e quantità dei titoli posseduti dal predestinato.

Corollario II: la scarsità quantitativa e qualitativa, qualora considerata, diventa titolo di merito.

(altro che Belpietro, oggi manderei uno stuolo di uomini in tuta e camicia da finanziere, ma con pistole vere, nelle case di tutti gli ordinari universitari over 50. Non mi interessa se in mezzo c'è brava gente. Li separerà il Signore, i buoni dai reprobi)

anche a me, che pur ne son nemico, qui mi viene la dietrologia applicata

A Milano oggi è una giornata grigia. Lo smog si sente più forte del solito, e c'è persino un anticipo di quella che sarà la nebbia invernale.
Mi accoglie la notizia che abbiano attentato alla vita di Belpietro. Ma non è sufficiente a tirarmi su di morale.
Il racconto che si fa della vicenda è piuttosto buffo: un uomo vestito con sopra la "camicia da finanziere" e sotto i pantaloni di una tuta (combinazione esteticamente criminosa, da galera immediata anche in assenza di altre motivazioni) appostato nelle scale dell'abitazione, tre colpi sparati tutti dall'uomo di scorta (la pistola dell'attentatore o era giocattolo o si è inceppata - ma secondo quelli di libero l'attentatore ha "mirato alla testa del poliziotto senza pensarci su un attimo" - facile, in effetti, soprattutto se hai in mano una pistola che sai che non può sparare) e fuga del fashion killer per le vie di Milano, mentre il resto della scorta di Belpietro probabilmente giocava a scopone scientifico e pronunciava queste battute
"ma cos'erano, tre spari, quelli?"
"ma no, so' i ragazzini che scoppiano i petardi"
"ah"
"scopa!".

Insomma: io odio la dietrologia e persino nel caso del duomo ho evitato anche soltanto di pensare alla messinscena. Ma qui mi pare una cazzata costruita ad hoc, giusto in tempo per l'edizione di Libero.
(povero direttore! Minacciato per la sua lotta contro la corruzione e l'intestarsi ville a Monaco. So già dic osa parleranno le prossime venti prime pagine di Libero.)

Nel caso tutto fosse vero: ovviamente una pistolettata non si augura a nessuno, ma la mia comprensione umana è comunque attutita da varie cose, per esempio dall'uso dello stereotipo gay  in maniera unicamente dispregiativa che il direttore di Libero fa nelle prime pagine dei suoi giornali (per dirne una di cui ho qualche esempio sottomano). Ecco:





Una off topic, ma che mi sembra vagamente interrelata (neanche in questo caso riesco a provare dell'umana pena per Calderoli)