"La lingua inglese ha accumulato piu’ di ottocento espressioni per la fornicazione, un migliaio per il pene, milleduecento per la vagina e duemila per la donna di malaffare (e uno si chiede come mai la gente faccia tutto ‘sto casino per il numero di parole che gli eschimesi hanno per la neve)"
I responsabili marketing della Penguin hanno vinto.
Hanno vinto perche’ non credo di essere l’unico ad aver comprato (a un prezzo ridicolo, e’ vero) "The Seven Word You Can’t Say on Television", estratto da "The Stuff of Thought" di Steven Pinker, e immediatamente dopo (a un prezzo solo leggermente piu’ alto) il libro da cui quel saggio era stato tratto.
Le sette parole vietate in televisione (Shit, Piss, Cunt, Fuck, Cocksucker, Motherfucker e Tits*) sono il punto di partenza per un saggio bellissimo sul perche’ sacramentiamo (come si puo’ tradurre "swear words"? Bestemmie non sono - non necessariamente - ma neanche "parolacce", eufemismo se mai uno ce ne fu in questo campo) e, soprattutto, sul come lo facciamo.
Non solo Pinker si dilunga su quale parte del cervello usiamo per immagazzinare questo prezioso materiale (il lobo destro, al contrario del linguaggio normale, tanto che di solito gli afasici bestemmiano tranquillamente. Ma il caso piu’ bello nell’intera letteratura medica e’ quello del sordomuto malato di sindrome di tourette che non poteva trattenersi dal bestemmiare in linguaggio dei segni), ma anche sul meccanismo che ci porta a utilizzare certe parole piuttosto che altre. La vecchia giustificazione "idraulica" (sacramento perche’ cosi’ mi sfogo, per rilasciare la tensione, per sbollire la rabbia), si rivela infatti inconsistente di fronte ad un’analisi piu’ approfondita. E’ vero che esiste un circuito della rabbia in tutti i mammiferi che si preoccupa, di fronte al pericolo (o allo schiacciamento di un pollice a causa di un martello) di renderci in grado di reazioni violente e improvvise, ed e’ anche vero che questa reazione porta con se la produzione di versi di minaccia e la soppressione dei freni che di solito si frappongono alle parole taboo, ma non c’e’ ragione per cui ci dovremmo calmare piu’ in fretta dicendo "cazzo" piuttosto che "cappello". Piu’ interessante e’ che probabilmente quei versi, e le swear words da esse discese possono essere alla base del nostro linguaggio, proprio perche’ prime parole nate per avvisare i compagni di branco del pericolo dei predatori. [tra l’altro, ci informa Pinker, i neuroscienziati chiamano l’insopprimibile voglia di sacramentare quando ci accorgiamo di aver sbagliato qualcosa "negativita’ connessa all’errore". Questo in pubblico. In privato la chiamano "L’onda dell’OMMERDA" (the oh shit wave). L’opinione dei neuroscienziati sembra pero’ solo parzialmente vera: la teoria dello studioso Erving Goffman e’ molto piu’ affascinante: quando facciamo una cazzata sbottiamo (ad alta voce) solo per far vedere ad un pubblico immaginario che siamo adulti ragionevoli che hanno perfettamente compreso la situazione in cui si trovano (benche’ non abbastanza intelligenti da evitarla): piu’ o meno come quando lasciamo qualcosa in ufficio o a casa e tornando indietro parlottiamo da soli per spiegare all’umanita’ cosa stiamo facendo.]
La parte migliore e’ forse pero’ quella dell’analisi grammaticale: per esempio la parola "
fucking" in "drown the fucking cat"**, che cos’e’? Non e’ un aggettivo (non si puo’ trasformare la frase in "drow the cat which is fucking", "drown the cat that seems fuckig" o "how fucking was the cat you were drowning?"), anche se la posizione e l’utilizzo sono quelli. In "fucking brilliant" invece, e’ usato come avverbio ma non lo e’, perche’ non si puo’ costruire lo scambio di domanda e risposta "How brilliant was it?" "Fucking!". Gli avverbi hanno la caratteristica di modificare gli aggettivi, quindi
fucking in questo caso sarebbe solo un sinonimo di "
very", ma mentre non si puo’ dire "it’s too very brilliant" si puo’ tranquillamente dire "it’s too fucking.. Etc" (o Bloody, o damn, etc. Sostituire la parola di elezione). Le parole
fucking,
damned, bl0ody, hanno inoltre la caratteristica di esprimere il punto di vista di chi parla anche se sta riportando l’ opinione o le parole di un terzo (in discorso indiretto). Inoltre, come ha notato l’ottimo Quang Fuc Dong***, l’imperativo "Fuck You!" non e’ un vero imperativo, perche’due imperativi si possono unire se agiscono sullo stesso oggetto (clean and press these pants), ma dire "Describe and fuck communism" non significa moltissimo (ma e’ molto bello e lo usero’, da qualche parte).
Per ottanta pagine dunque si cerca di capire come e perche’ sacramentiamo, si tirano fuori dal cappello espressioni desuete (che faranno molto bene alle mie prossime conversazioni con i colleghi anglofoni) e si fanno elenchi dei modi in cui possiamo dire merda: il tutto con grande serieta’ e piglio scientifico, ma anche con un certo gusto dell’accumulo (se fai il linguista, quante volte ti puo’ capitare nella vita di scrivere un saggio in cui scrivi piu’ volte Shit che Speech?).
Solo alla fine Pinker fa finta di chiedersi se sia giusto usarle, quelle parole: la sua risposta e’: con moderazione, che’ sono preziose e bellissime (e l’autore fa anche un elenco delle espressioni che preferisce, come "pussy whipped", "pissing contest" e l’avviso paterno "keep your pecker in your pocket") e rischiano di sciuparsi****.
La mia preferita, per ora, rimane "
screamer-and-creamer" per indicare le donnine a pagamento.
(se seguite il link arrivate al sex-lexis, il dizionario dei termini sessuali. Bellissimo.)
* Queste parole sono proibite anche in radio. Un aneddoto non Pinkeriano, ma secondo me molto bello: il grande bluesman Bob Log III, figlio del batterista Bob Log IV (non e’ un refuso), nel comporre il pezzo simbolo del suo secondo disco ragiono’ cosi: "Quando la gente e’ eccitata a un concerto cosa fa? Batte le mani. Ma se e’ molto eccitata? Batte i piedi. Ma se lo e’ ancora di piu’? Batte le tette, si rispose il bluesman, che campiono’ il suddetto suono e ci fece la base ritmica del suo successo internazionale "Clap Your Tits". Invitato ad un’esibizione in radio, lo speaker avviso’ il nostro eroe che, se voleva cantare il suo piu’ grande successo, doveva censurare la parola tits, proibita in radio. Bob Log III non fece una piega, e canto, in quell’unica occasione, la ben piu’ esaltante "Rub your Clits"".
** Gli esempi di Pinker sono, obbiettivamente, bellissimi.
*** Ovvero il nome di piuma del linguista Jim Cawley negli "Studies out in the left field". Il suddetto e’ autore anche di "Trenta milioni di teorie della grammatica" e di "La guida ai caratteri cinesi per i clienti dei ristoranti".
**** Certo non bisogna esagerare: Norman Mailer nel suo libro sulla seconda guerra mondiale, "The Naked and the Dead" fece dire per tutto il tempo ai soldati "Fug", e quando Dorothy Parker gli fu presentata lei non pote’ che
affermare: "Ah, allora sei tu quel tizio che non sa come si scrive la parola FUCK". Grandi donne di cui dovevo innamorarmi.