domenica 27 marzo 2011

I FILM TRATTI DAI LIBRI

(a cura di STEFANO)

PREMESSA. Mi imbatto nel romanzo di Giuseppe Culicchia e vedo che c’è anche il film, così mi vengono in mente gli Anto’ e Frusciante, poi c’ho messo i numeri primi perché in fondo il libro di Giordano lo vorrei leggere e così ho messo assieme romanzi d’esordi con ragazzi protagonisti e relativi film. A parte quello di Costanzo, non sono di gran spessore, o interessanti prove d’autore, quindi almeno per 3 su 4 si può passare direttamente per i libri, però non a tutti piace leggere, anche se questo è un blog e si legge. Se c’è qualche lettrice per esempio sarei curioso di sapere se ci sono libri o film che raccontino delle loro giovinezze, chessò tipo la trilogia di Sofia Coppola. In più sto affrontando la visione di Heimat e mettendo a registrare i Bambini di Golzow, che è un documentario vivente che dura più di 40 ore ed è già da pazzi pensare di vederlo.

“e io ti piaccio? – non lo so; non ci ho pensato. – mica bisogna pensarci! – se io non ci penso non capisco niente”: LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI – ITA\GER\FRA 2010, 118’. Regia di Saverio Costanzo. Il romanzo di Giordano ancora non l’ho letto. Si comincia benissimo, con una recita scolastica girata con la mano di Dario Argento, musiche dei Goblin pure, e nel film torneranno gli spunti horror, i colori di Suspiria, i corridoi fra Profondo Rosso e Shining. E mi è piaciuto moltissimo l’uso della musica, intra ed extra-diegetica ( che sentono anche i personaggi la prima, che accompagna il film l’altra ). Ci sono Mattia e Alice, raccontati con continui salti avanti e dietro da piccoli, durante il secondo superiore, poi quando lui sta per andare in Germania per il dottorato di ricerca e infine sette anni dopo, lui che è ingrassato e lei che non mangia. Il loro incontro avviene alle superiori, Alice zoppica in seguito ad un incidente con gli sci e viene derisa e maltrattata da un gruppetto di ragazzacce, salvo che poi Viola, una di esse, la prende con sé, comincia a farle apprezzare i vestiti, la spinge a conoscere un ragazzo. Sceglierà Mattia, riconoscendolo fra gli altri e invitandolo ad una festa. Mattia nel frattempo, ha cambiato molte scuole, si procura delle ferite tagliandosi, lascito del suo rapporto con la sorellina credo autistica, suicida, che una volta abbandonò fuori alla pioggia perché si vergognava di portarla con sé al compleanno di un amichetto. Si ritroveranno cresciuti, al matrimonio di Viola, e si daranno il bacio che non si diedero alla festa. Lui però se ne andrà lontano, perché è un genio, fino a tornare per rivederla, per viverci assieme chissà. Comunque, il bello di questo film sta tutto e giustamente nella sua realizzazione scenica, nella musica appunto, i synth inquietanti per le sequenze oniriche ( aleggia Kubrick ) e le canzoni che vivono assieme Alice e Mattia, come si fa a non sciogliersi quando i due si rincontrano ascoltando Bette Davis Eyes? Saverio Costanzo, di cui ho apprezzato sia Private che In memoria di me, sfrutta il romanzo e ci mette quello che può dare il cinema.



TUTTI GIÙ PER TERRA – ITA 1997, 98’. Regia di Davide Ferrario. Walter ( Valerio Mastandrea; per chi apprezza un po’ mostra ) ha 22 anni, studia lettere e filosofia senza molta convinzione, in più l’unico con cui scambia qualche parola è uno che odia Hegel; poi opta per il servizio civile, finendo al Centro Accoglienza Nomadi ed Extracomunitari, se ne va da casa  portandosi appresso un “disagio esistenziale” ( potrei dire “leggasi verginità” ma non è tutto così facile ) e poi finirà a svolgere lavori qua e là, malpagato, maltrattato ecc.
Mi è parsa un’opera troppo debole (si fa prima a leggere il romanzo che a vedere il film) e che soprattutto non aggiunge e non funziona perché a parte girare le scene di traverso e passare parecchia musica dei C.S.I. o cccp, più brandelli di Marlene Kuntz e poi non mi ricordo, disperde la freschezza e la cattiveria delle pagine di Culicchia. Disperde anche le risate, dovendo inventare gag istantanee che svuotano il film, slegando le macchiette che pure ci sono anche nel libro, ma inserite man mano che la storia procede e utili per esasperare il personaggio e raccontare il mondo che vive. Però forse sono troppo severo. Il regista, Davide Ferrario, è comunque un autore che vale la pena di seguire.

“Sballè, io oltre che punk de razza, so’ pure ‘na roccia degl’Abruzzi”: LA GUERRA DEGLI ANTO’ – ITA 1999, 90’. Regia di Riccardo Milani. Le vicende di quattro punk di Montesilvano, provincia di Pescara, prima e durante la Guerra del Golfo, divisi dall’amarezza e dalla rabbia, fra chi resta a combattere la cementificazione delle coste e chi prova a fuggire dalla leva obbligatoria ( anche se è uno scherzo ) e dal vuoto, verso Bologna, Amsterdam, l’università e la libertà. Detta così sembra chissà che storia, e anche in questo caso rimando al libro, Il disastro degli Antò  ( che sto leggendo ) di Silvia Ballestra, perché così si possono apprezzare meglio la ricchezza linguistica, il dialetto, e il tono epico, o tragicomico, eroicomico ( oddio, qui sto andando alla cieca ). Poi non è così male il film, aiutano molto i quattro Anto’; Lu Purk, Lu Zombi, Lu Malatu e Lu Zorru, con il chiodo e le creste o i capelli a punta, colorati. Curiosa la presenza di Regina Orioli, nel film “sballestrera”, che incarna l’autrice e protegge i ragazzi. Anto’ Lu Purk è il protagonista e se ne va prima a studiare a Bologna, e poi a vivacchiare alla meno peggio ad Amsterdam, ma se prima si sentiva solo e poco apprezzato almeno aveva gli amici, in Olanda invece non conoscendo le lingue è solo e basta. Ha fatto però in tempo a conoscere la “pocciuta furia”, attenta a non disperdere le fragranze durante la copula e rispettosa dei tempi della Respirazione Sessuale. Vabbè. Il film poi si perde, un altro Anto’, disertore, raggiungerà Lu Purk ad Amsterdam e giù a Montesilvano li daranno per dispersi: arriverà Chi la Visto?, un incendio e poi di nuovo tutti assieme, com’era cominciata. E infatti le due scene più belle sono la prima e l’ultima: i quattro che scappano dai giostrai rom perché troppo sfrontati con una delle loro sorelle e salvati da Lu Purk che canta una loro canzone; ancora loro assieme sulla spiaggia, in riva la mare, con il cielo scuro e il mare scontroso, Battiato canta “la stagione dell’amore” e io mi alzo dal letto, timide lacrimucce a darmi il buongiorno.

JACK FRUSCIANTE È USCITO DAL GRUPPO – ITA 1996, 100’. Regia di Enza Negroni.
Ancora Bologna, primi anni ’90 mi pare; liceo classico, colli su cui pedalare forte e il punk, suonato pure. L’eroe della storia, Alex, suona il basso e un giorno si innamora di Adelaide detta Aidi, fiabesca e indecisa, decisa a passare un anno in America per studiare. C’è il gruppo di cazzoni sbronzi lerci, per provare un po’ ad imitare il gergo, con cui suonare e sputarsi addosso, e poi c’è Martino, bello e dannato ( scontata oh yes ) che porta il nostro in una zona d’ombra, riflessioni esistenziali ed uscite dal cerchio, finché si spara un colpo e muore. I distacchi necessari o meno che potranno temprare l’animo di questo giovane in sella così presto esposto al vento. Gli scontri con i genitori. Pure se anche questo è un film esile, rimane nei ricordi,sarà il titolo, io ho cominciato a suonare la chitarra dopo aver ascoltato Scar Tissue, o insomma la possibilità di rivedersi o magari immaginarsi a rifare altri percorsi, lo si rivede come ci si raccontano le stesse storie con gli amici; che le sappiamo già, ma ci piace la nostra voce.

20 commenti:

cassandra ha detto...

Caro Stefano,
l'ottimo accanto al tuo nome deve essersi smaterializzato quando hai ventilato l'ipotesi di una lettura de La solitudine dei numeri primi: ritira quello che hai scritto, prometti che non penserai mai più a compiere azioni tanto dissennate e vedrai che l'ottimo tornerà al suo posto.


Da ragazzina ho visto, rivisto e stravisto Musica per vecchi animali ( anche questo ispirato a un libro, Comici spaventati guerrieri, di Benni); l'ho ripescato in rete di recente e rivisto dopo anni. Tralasciando il giudizio a posteriori sul film e l'ovvio effetto-madeleine, devo dire che la civiltà della caffettiera con Guccini ha ancora un suo perché :) .

frogproduction inc. ha detto...

mitica civiltà della caffettiera!
io Giordano non posso leggerlo da quando l'hai definito "bariccato" o qualcosa del genere...

stef ha detto...

Cara Cassandra, adesso che ci penso anche il film...

musica per vecchi animali l'ho visto un bel po' d'anni fa anch'io, sempre di notte, e mi pare che fosse assurdo forte. il libro invece no. potrei pensare ai film diretti dagli scrittori ( tipo lezione 21 ) come traccia.

già che ci sono, a proposito di heimat, ho visti i due primi episodi, e leggendo qua e là un passaggio di un'intervista a reitz che diceva che più o meno è lo spettatore a dover trovare la propria interpretazione, quindi un vero senso logico non dovrebbe esserci; anche kubrick tendeva ad essere evasivo sui significati precisi di ogni scelta o scena ecc.
nel saggio di jedlowski mi sono segnato un punto in cui si parla di "erlebnis" e "erfharung" rispettivamente esperienza in quanto vivida percezione attuale ( la prima ) e in quanto sedimentazione di competenza attraverso l'esercizio e riappropriazione del vissuto attraverso la memoria ( la seconda ). tutto ciò se non ho capito male nelle accezioni che dava benjamin ai due termini. aiuto.

frogproduction inc. ha detto...

e finalmente questo blog assume l'alto profilo culturale che ho sempre provato a dargli e giammai ci riuscii. Grazie Stefano!

frogproduction inc. ha detto...

devo dire che sull'argomento specifico, nonostante una certa frequentazione delle opere di Benjamin, non saprei dire niente.

stef ha detto...

a questo punto posso lasciarmi andare e dire che ho letto praticamente tutto di baricco e pure di andrea de carlo. se vi vengono in mente penitenze

cassandra ha detto...

Stef: ha a che fare con la differenza tra racconto e narrazione?

stef ha detto...

cassandra scusa non ho capito la domanda. quell'appunto sopra a proposito di erlebnis e erfharung ( comunque sto usando termini con cui sono per la prima volta a contatto e quindi ecco ) mi era sembrato interessante perché le prime inquadrature fatte a colori su punti che guardava paul simon, l'officina del padre e un oggetto scacciainsetti se non ricordo male, però poi pian piano il colore viene usato anche come intervallo visivo, le panoramiche sui paesaggi e per esempio mi aspettavo di vederlo la prima volta che paul simon vedeva apollonia, perché nei suoi occhi si leggeva una certa meraviglia. invece viene usato la seconda volta che si vedono, quando passeggiano assieme. e poi ancora durante l'esperimento della radio. poi c'è anche il bianco e nero color seppia, giallo insomma mentre paul e la moglie sono a letto prima di dormire. comunque ho pensato che in qualche caso il colore corrisponde all'erlebnis, però non credo sempre e ovviamente è più che probabile che non ci sia alcuna correlazione.

cassandra ha detto...

Potremmo considerare il b/n come racconto di un evento che accade ma che non è ancora metabolizzato e pronto per essere trasformato in narrazione(es.primo incontro con Apollonia) o che non è necessario a una narrazione futura, e il colore lo leghiamo ai momenti in cui Paul ha una maggiore consapevolezza di ciò che accade, quelli che ricorderà e trasformerà in elementi narrativi?

cassandra ha detto...

Penso anche io che una correlazione, se c'è, non sia universale ma presente solo nella testa del regista, quindi si va beatamente a casaccio :)

cassandra ha detto...

In effetti io avrei collegato l'erlebnis al b/n più che al colore.

stef ha detto...

http://www.ponilla.org/Cineforum/H_intervista.html

ho trovato quest'intervista :)

stef ha detto...

per tornare alla tua domanda, partendo dal titolo del primo episodio "nostalgia dell'altrove" il protagonista non racconta, non si sente a casa, e dunque il suo ambiente è messo in scena in b\n, salvo rare volte in cui qualcosa lo sorprende, o finalmente ritrova elementi che può ricollegare attraverso l'esperienza, e a sto punto vanno bene entrambe le esperienze, che sia il rivedere un ambiente a lui caro o anche il lavorare ad un progetto ( la radio ) che finalmente gli consente di riassumere un'identità. però appunto leggendo le risposte di reitz, sembra legato a motivi stilistici più sull'opera che interni alla stessa. cmq grazie 'ché mi hai dato la possibilità di conoscere davvero un gran film, pieno di spunti anche letterari, per esempio ho ripreso "addio a tutto questo" di robert graves, che fece appunto la prima guerra mondiale e poi altro ancora.

cassandra ha detto...

Bon, è andato a casaccio pure lui :D

È importante rilevare come spesso lo slancio creativo che porta alla nascita di grandi capolavori sia supportato dal medesimo istinto irrefrenabile: il bisogno di soldi.

cassandra ha detto...

'Addio a tutto questo' mi manca: rimedierò. Grazie a te :)

daniele ha detto...

se non ricordo male "Addio a tutto questo" ha una parte abbastanza importante in un romanzo, "Skippy muore" che non è neanche bruttissimo. Stefano: De Carlo mi manca del tutto, non mi sono mai azzardato, ma di Baricco ho letto fin troppo (e tipo un libro e mezzo mi sono pure piaciuti) e temo continuerò a farlo perché mi da un'orticaria deliziosa. Mi piacerebbe sapere che pensi di lui!

stef ha detto...

beh, intanto devo dire che ancora non credo di aver sviluppato un gusto o anche di leggere a più livelli, forse qualche volta, come per esempio posso fare con la musica. in più sono un lettore "giovane" per cui non succede quasi mai che dico "che brutto libro", ne posso trovare di noiosi, però li leggo lo stesso. per cui non so dire cos'è che mi piace leggere. i libri di narrativa di baricco li ho letti ognuno una volta, solo City che è il mio preferito ogni tanto lo rileggo o anche solo lo guardo e ci ripenso. credo che quello che risulti troppo zuccheroso, o troppo perfetto o troppo piacione a me adesso rimane meraviglioso, come un bambino davanti a un giocoliere. passando ai suoi scritti altri, allora sono completamente in balia di lui; uno che mi racconta di beethoven che prima della prima della nona sta a pensare al frac verde ha la mia ammirazione. poi magari non sarà alex ross.

frogproduction inc. ha detto...

la tua risposta mi piace :)

frogproduction inc. ha detto...

rispondo meglio (prima ero a lavoro che intervistavo gente di destrissima): dicevo: la tua risposta la apprezzo moltissimo, Stefano, probabilmente dici l'unica cosa condivisibile su BAricco, cioè che con le parole ci gioca molto bene, ci sa fare, e ad avere la pazienza di stare a guardarlo è anche divertente. E' che io non riesco a non sentirlo straordinariamente finto, e le sue argomentazioni straordinariamente fallaci, piene di buchi e di paralogismi: a me piacciono gli scrittori di testa, quelli che magari sono anche sgraziati ma dicono cose che non avevo visto, notato, pensato: Baricco dispone bene gli elementi, al meglio; al peggio dice cose che non ho visto, notato, o pensato, ma non l'avevo fatto perché erano cazzate. (in questa ultima frase mi sono fatto trascinare dalla voglia di chiudere ad effetto!)

stef ha detto...

eh eh, ma infatti ai chiuso à la Barique, e lui stesso lo scrive ne i barbari, che gli piacciono molto le epigafri, quelle che suonano apodittiche; e aggiunge soprattutto quelle che delimitano i bordi del campo. in più hai detto una cosa che mi appartiene, il perdermi nelle cazzate ( e uno sguardo acerbo ). tanto è vero che sono le dieci passate e io devo ancora fare i compiti. buona notte e a presto.
p.s. domani sera vado a perugia a vedere le luci della centrale elettrica