mercoledì 8 settembre 2010

CHRONIC CITY - Jonathan Lethem


CHRONIC CITY - Jonathan Lethem

Chase Insteadman è un uomo confuso. Lo dice (la voce narrante è quasi sempre la sua) nelle prime righe dell’ultimo romanzo di Jonathan Lethem, ed è un’affermazione che rende comprensibili molti aspetti della vicenda che occupa le 457 pagine seguenti.
Chase Insteadman (quasi tutti i nomi dati da Lethem ai suoi personaggi hanno un senso) è un attore che vive delle royalties di una sitcom in cui ha recitato da bambino e che si ritrova ad essere di nuovo un personaggio pubblico perché fidanzato di Janice Turnbull, astronauta americana intrappolata (insieme ad altri colleghi americani e russi) in una navicella spaziale in orbita attorno alla terra, e dalla terra separata da una cintura di mine spaziali cinesi.
Janice invia a Chase strazianti e bellissime lettere d’amore (a cui Chase non può rispondere) che vengono pubblicate sul NYtimes in tempo reale, prima ancora di essere recapitate al legittimo destinatario.
Chase però quasi non si ricorda di lei e il libro è quasi tutto occupato dalla storia della sua amicizia con Perkus Tooth, critico rock in esilio-pensione volontario, e dalla sua storia (necessariamente clandestina) con Oona Laszlo, ghost-writer di celebrità assortite.
La New York in cui si muovono Chase e i suoi amici è una New York solo leggermente diversa dal reale: una foschia grigia ha da anni ricoperto la zona degli affari, una misteriosa e imprendibile tigre gigante imperversa nella città e il New York Times viene pubblicato in due edizioni, con la guerra (quale guerra?) e senza.
Tutti gli eventi, le peregrinazioni dei protagonisti per New York (a attraverso le classi sociali di New York, dalla cena col sindaco all’hotel per cani orfani), le loro conversazioni e i loro tentativi scombinati di arrivare a una qualche forma di comprensione di quello che li circonda,  passano attraverso il filtro della confusione di Chase, confusione aggravata dall’erba fortissima che fuma assieme a Perkus. Soprattutto la ricerca di qualcosa che sia vero, in un’ossessione continua per il complotto o l’inganno, la continua ricerca di qualcosa che esista sul serio, che risulti tridimensionale mentre tutto il resto si rivela essere sempre più opinabile, si perde in mille rivoli, in mille discorsi e ipotesi da stonati, in fissazioni alla thc per manufatti che si rivelano meno reali di tutto il resto.
Il passo è così incerto, le conquiste e le agnizioni così precarie o palesemente campate in aria che è facile pensare che il libro non vada da nessuna parte e invece: la storia c’è (e non finisce benissimo), per quanto si sviluppi ai margini dei discorsi e delle ipotesi dei protagonisti, un colpo di scena c’è anche, e molti dei dubbi e delle teorie dei protagonisti si rivelano più reali di quanto si sarebbe mai potuto credere. Chase ci mette troppo tempo a cogliere la verità in quello che Perkus gli comunica nell’ultima parte del romanzo (una delle suggestioni di Perkus, relativa a un vecchio episodio di Ai Confini della Realtà cade nel vuoto, e il protagonista non si ricorda di essa nemmeno alla fine del romanzo quando essa avrebbe più che mai senso: “...ad agosto ha nevicato soltanto due volte ...”) e la sua percezione del reale e di se stesso è così distorta da essere forse l’elemento più importante del libro: perché la percezione che ha Chase è quella che, forse, hanno tutti gli abitanti di New York (stranamente, Lethem non allarga mai lo spettro fuori dalla città, come se fosse un universo chiuso e le lettere di Janice sono un’effrazione solo apparente).

Lethem scrive benissimo, e anche i passaggi in cui è troppo lirico sono giustificabili (anche se forse tagliarli un po’ non sarebbe stato male).  Se questo libro ha un difetto (e non considero il difetto che per lunghi passaggi si abbia l’impressione che niente accada e che niente sia destinato ad accadere) è che alcuni nodi della storia vengono risolti in modo del tutto approssimativo, discorso valido soprattutto per la rivelazione finale di Perkus a Chase.  Il libro sembra non finire sul serio, o finire in un modo insoddisfacente: in realtà, rimane il dubbio che semplicemente la voce narrante, Chase, non abbia capito cosa gli sia successo e continui ad attraversare il mondo e a imbastire rapporti con gli altri come ha sempre fatto.

(alcuni dei simboli, delle connessioni che Lethem sparge per il libro sono troppo evidenti e per questo poco efficaci. Alcuni però funzionano magnificamente e rimangono impressi: la cicatrice del cane Ava, per esempio: l’unica cosa che rimanga vera, fino alla fine del libro)

3 commenti:

elisabeth ha detto...

Potrei anche leggerlo, me lo presti?

daniele ha detto...

se mi ricordo te lo porto!

elisabeth ha detto...

grazie :*