martedì 26 agosto 2014

IL MONDO NUOVO





Intro: “Ehi, ciao, quanto tempo. Ti chiamo per… sai sto vedendo un film stupendo, c’è un tizio solitario che lavora al comune di Londra e si cura dei funerali di chi non ha famigliari, gente sola…pensavo a noi, cioè a te, se ti andava di… non dico per forza a un funerale… anche solo da un’altra parte… ah!… però aspetta non... attaccare.”

Intermezzo trascurabile dal punto di vista del film: c’è una raccolta di saggi di Stephen Jay Gould, On Land, e in uno di questi si parte dal funerale di Marx, pare ci fossero solo nove persone (non è da questi particolari che si giudica un…) e una di queste fosse uno scienziato con il quale Marx nei suoi ultimi anni aveva stretto un legame. Ora non ricordo bene, ma è istruttivo perché all’epoca Marx aveva appoggiato la teoria di Darwin, sebbene piegandola alla sua visione ideologica, e in poche pagine Gould mostra come in fondo non è che Marx l’avesse poi capita così bene, cosa in sé comprensibile. Però è interessante perché Gould ricostruisce un poco il rapporto fra Marx e Darwin per quanto riguarda la ricostruzione che in parte è arrivata ai giorni nostri.

Still Life, di Uberto Pasolini, 2013, UK e Italia. Questo film credo abbia avuto un discreto seguito, premiato a Venezia, buone recensioni. Per me un vero gioiello, piccola e delicata sorpresa. Ne voglio parlare un po’ a fondo per cui avviso l’eventuale passante [SPOILER] Il protagonista, John May è una sorta di eroe in miniatura, un tipo davvero solitario che si occupa di una cosa alla quale nessuno di solito pensa se qualcuno non ti viene a dire che c’è un lavoro apposta. In breve è un impiegato del comune che si occupa di risalire ai parenti o amici di un defunto in seguito al decesso, quando il defunto a una prima ricerca non ha nessuno che se ne occupi. Nella prima parte l’incanto arriva dai modi di John May, dalla sua cura per i dettagli che mette nell’organizzare il funerale, anche quando è solo lui che vi assiste. Poi arriva il suo ultimo caso, dal momento che per dei tagli al personale e perché le sue ricerche scrupolose in fondo costano. In quest’ultima ricerca scopriamo particolari di vita di un uomo che nel film non vediamo mai: una sua vecchia compagna, la sua giovane e graziosa figlia che non lo vede da anni, da quando era in carcere; e la cosa curiosa è che già ne sappiamo più di questo tizio che di John May, che si porta addosso un velo di tristezza esile, pacata, sostenuta da musiche perfette (di Rachel Portman) e distratta da piccoli momenti buffi che rendono il film più leggero e godibile. Solo nel finale è concessa un po’ di commozione e la storia subisce un paio di colpi ad effetto che però non guastano, sebbene il primo sia amaro, beffardo. Magari rendono meno coerente il tutto, ma questi poi sono pensieri oziosi.

lunedì 25 agosto 2014

IL MONDO NUOVO






Premessa numero uno: nel Simposio di Platone a un certo punto Socrate chiede a Diotima quale sia l’essenza più vera di Eros. Diotima risponde che è il demone, dato che tutto ciò che è demonico è intermedio fra Dio e il mortale. Da qui poi parte tutto un discorso che ha affascinato Hölderlin circa la complessità della figura di Eros, circa l’aspirazione imperfetta dell’uomo nel suo agire per forza di cose asintotico verso una unificazione con robe tipo l’essere o la natura. Per cui poi ci attende il regno della bellezza. Più o meno. Poteva andare peggio.

Premessa numero due: nel film Giovane e Bella a un certo punto i ragazzi in classe recitano una poesia di Rimbaud, Romanzo, che si può leggere qua. E insomma vado a prendere il mio libro di poesie di Rimbaud e quando trovo la poesia vedo che su alcuni versi ci ho fatto delle righe sopra a matita, come a volerli cancellare. Piccole debolezze e coincidenze, solo perché non ho foto di gattini a disposizione.

Il film dunque. Giovane e Bella, Jeune et Jolie, di François Ozon, Francia, 2013. Isabelle, una giovane di 17 anni torna dalle vacanze dopo aver avuta la prima esperienza con un uomo e comincia a prostituirsi. Alla scuola e alle festicciole nelle quali scivola un po’ anonima avvolta in abiti larghi e per nulla attraenti alterna camere d’alberghi lussuosi, clienti maturi e benestanti, abiti firmati e sensuali, a volte presi di nascosto alla madre. Perché? La madre chiederà invano (non dei vestiti). E così procede, da un lato forse con sconcerto e tristezza, oppure no, procede dolcemente, lasciando al nostro sguardo le cose che la giovane Isabelle fa, lasciandoci immaginare la sua intimità. Per alcuni, molti, il suo fascino.

domenica 24 agosto 2014

IL FUTURO Ė TROPPO GRANDE

Per chi è interessato ai film documentari segnalo questa recensione e la relativa rubrica, così potete restare aggiornati alle prossime visioni.

Il film si chiama Il futuro è troppo grande, metto anche il link al sito. L'ho visto anch'io ed è un film che riesce a fornire alcuni spunti di riflessione sia sul tema dell'immigrazione che sul modo in cui poi ogni persona vive e racconta la sua esperienza, considerando che gli stessi protagonisti hanno contribuito con immagini girate da loro stessi.


domenica 24 novembre 2013

COSE CHE (NON) CI SIAMO DETTE


Dammi risposte complesse. Così Gipi. Di fronte alla bellezza di unastoria di Gipi e di Una sterminata domenica di Claudio Giunta (rimando anche al suo sito, dove ci sono materiali estratti da poter leggere), verrebbe da ammettere che no, io al momento non posso dare risposte complesse e restituire quanto ho ricevuto e forse nemmeno fare domande complesse. E dunque la miglior cosa è chiedere risposte complesse. Poi la bellezza si esprime in varie forme, e le tavole di Gipi in qualche modo contraddicono il suo assioma, perché travolgono con una immediatezza tale che uno vorrebbe abbandonarsi a quella forza e tacere. Che sia una forza triste o gioiosa. Invece nella bellezza della raccolta di saggi di Giunta, ma vale anche per tutti i saggi nei quali riconosciamo un dono, ci sono alcuni aspetti che a volte insinuano dei dubbi ricorsivi, dubbi che si pone l’autore stesso, circa la possibilità di scrivere saggi sull’Italia e sul mondo che non scadano nella costernazione, nel moralismo, nel lamento dell’intellettuale. Scrivere dalla prospettiva dell’osservatore partecipante che a seconda del grado di approssimazione parlerà come Leopardi rifiutando la consolazione e l’inganno puerile, oppure come una guida al meeting di Comunione e Liberazione ( CL ), per la quale la conquista dell’Africa e dell’America è stata un’allegra scampagnata, in amicizia. Per questo ci sono le medicine. Non c’è niente come il pop, per schivare la costernazione, basta non fare attenzione. Parole di Giunta. Potrebbe essere una canzone de I cani. E a questo punto solo Lisa Simpson avrebbe la forza di ribattere. E il passo successivo è il disagio che comporta a volte questo chiedersi il perché delle cose, disagio non solo privato, per la vastità e per l’impotenza, ma anche per i rapporti con gli altri, come emerge ancora dal primo dei saggi di Giunta, quello sul meeting di CL, Anything goes. È il disagio che si prova a sentirsi estranei e in qualche modo superiori di fronte a ciò che pensano gli altri, e in questo caso a chi procede non tanto e non solo con la certezza della fede, ma con la fede nella certezza ( se ne è venuto fuori un gioco di parole à la Renzi, abbiate pietà ). E uno vorrebbe che l’abbraccio fraterno possibile non avvenga né con gli occhi strafatti della certezza né con quelli insinceri della condiscendenza, vorrebbe trovare l’immediatezza di un abbraccio e basta.

Dal momento che non si capisce molto di cosa sono fatte queste due opere, rimando ai link per le rispettive schede. Questo in fondo è solo un consiglio di lettura.

giovedì 7 novembre 2013

IL MONDO NUOVO


Womb – 2010, 111’. Regia di Benedek Fliegauf .

In questo film succede una cosa ( diciamo due ) che dovrebbe sconvolgere, ma che viene raccontata con la stessa placida grazia con la quale il film parte. Due bambini crescono assieme, poi lei parte, torna dopo 12 anni e i due si ritrovano, e diventano amanti. Poi lui muore ( preso sotto da un’auto ) e lei decide di farlo clonare e di partorire il clone, che crescerà e diventerà amante a sua volta di una giovinetta che passa da quelle parti. La vicenda viene anche narrata in una sorta di mondo a parte, una casa sul mare, nel Nord Europa, dove gli unici contatti sono con qualche bambino amico del clone e le mamme dei suoi amici, per cui apprendiamo che i cloni ( le copie ) sono emarginati dalla vita sociale, per quanto abbiano gli stessi diritti, almeno da ciò che si intuisce. La vicenda dunque è tutta giocata sul piano personale-famigliare, tanto più che il ragazzo solo alla fine saprà chi è veramente. Nelle scene iniziali e nella inconsapevolezza c’è tutta la bellezza possibile. Nei pensieri di questa donna amante e poi madre del proprio amante c’è l’incrinatura irrisolvibile del tempo che non lascia scampo e dell’unicità che l’esperienza dona alla nostra vita. 

martedì 1 ottobre 2013

PRESI ALLA POLVERE



"Qualunque cosa esista, disse. Qualunque cosa esista nella creazione senza che io la conosca esiste senza il mio consenso."

lunedì 9 settembre 2013

Cosa racconteremo dei film che ( non ) vedremo di questi cazzo di anni zero


Synecdoche, New York - 2008, regia di Charlie Kaufman  ( lo sceneggiatore cervellotico dei film cervellotici di Gondry e Jonze ), con Philip Seymour Hoffman ( ... ).

Ecco, cosa vuole l’uomo che vediamo nel film e cosa vogliamo noi, pensieri su pensieri vorticosi attorno a un cuore illusorio, anelli nell’io; i nostri geni non lo sanno eppure lo fanno, noi potremmo saperlo o fingere di saperlo, e cerchiamo dunque. Potremmo cercare meglio, stiamo bene magari, ma potremmo stare meglio? l’uomo del film si sente solo, è fin troppo cosciente della morte, è un autore di teatro che mette in scena se stesso fino alla fine, per un pubblico che non potrà esserci come non ci saranno più neanche gli attori, quasi solo lui stesso in mezzo alla scenografia fatta città, con la mappa che contiene la mappa, con la propria vita fatta recitare da un altro che ha finito per realizzarla davvero. È un film che parte piano, da piccoli giochi di parole, ma già il titolo promette bene, per poi dipanarsi in continui rimandi meta-qualsiasi cosa che lasciano storditi, ma che arrivano al benedetto cuore che non c’è e che però si sente eccome. L’unica cosa che manca è la visionarietà registica, ma a quel punto poteva essere troppo, e se non c’è quello slancio imponente che aveva The tree of life per esempio, c’è un tocco prezioso, intimo, una bellezza in miniatura, come i quadri che vanno visti con la lente d’ingrandimento che dipinge la moglie dell’uomo. Non è uscito in Italia, però si trovano i sottotitoli in italiano. 

venerdì 30 agosto 2013

PRESI ALLA POLVERE


“Una studentessa mi sembrava un pochino illogica, e quindi cercai di farla ragionare. <<Senta >>, le dissi, <<supponiamo che lei discuta con un islamico. Questo tizio le dice che quanto sta scritto nel Corano è tutto vero perché è stato dettato direttamente da Dio. Lei allora vuole sapere da lui come fa a esserne così certo. E questi le risponde: “c’è scritto nel Corano!”. Ebbene>> chiesi alla studentessa, <<a suo parere, cosa c’è che non torna in questo ragionamento?>>. Mi guardò stupita. Taceva. Io mi spiegai con più garbo, ma non capiva. Alla fine mi disse: <<io credo che bisogna rispettare tutte le fedi>>. Fine del discorso.”

“Supponi che, come è ben possibile che accadesse, nel 1962 o 1963 io facessi una conferenza sulla psichiatria. Fra le altre cose, mi capitava allora di spiegare come, per un qualsiasi individuo sofferente e in difficoltà, l’essere etichettato come malato di mente potesse in certi casi contribuire a un’interiorizzazione dell’etichetta. Ossia, inconsapevolmente, insensibilmente, questa persona poteva essere sospinta ad assumere alcuni dei comportamenti socialmente previsti per il ruolo “malato di mente”. Sempre ci tenevo però a precisare che questo fenomeno, già studiato da Lemert e da Becker non spiega affatto né l’inizio né la natura del disturbo mentale, anche se talora può influenzarne, in qualche misura, il decorso, o il decorso apparente. Ora, ecco il punto. Nel 1962 potevano venire ad ascoltarmi sì e no trenta persone; parlando con loro avevo l’impressione che la maggior parte di loro avesse compreso senza equivoci quello che volevo dire. Anni dopo, mi venivano ad ascoltare non trenta, ma trecento persone. la metà di loro se ne tornava a casa convinta che io avessi detto che la malattia mentale non esiste, perché io avevo detto che se un soggetto è trattato da pazzo egli si adegua all’etichetta solo per questo motivo e non perché affetto da una malattia mentale. Ed eccomi sistemato, per loro ero un antipsichiatra.”


Sono due passaggi del libro La razionalità negata, psichiatria e antipsichiatria in Italia, un dialogo fra Gilberto Corbellini e Giovanni Jervis, il primo storico della medicina, l’altro ( morto nel 2009 ) medico psichiatra. Si riferiscono a uno dei temi nel libro, la situazione culturale italiana, partendo dalle lotte e dai movimenti dei ’60 e ’70, nei quali si intrecciavano le teorie antipsichiatriche dell’epoca, trattando in particolare la storia di Basaglia, della legge 180, dei suoi effetti e della sua divulgazione. L’aspetto che più mi interessa è quello del come si formano le nostre opinioni, il nostro senso critico, perché ad esempio nel libro c’è una netta critica alla teoria foucaultiana, che idealizza la malattia mentale, e provando a leggere La storia della follia di Foucault mi accorgo che  ho delle riserve già in partenza, perché non mi piacciono il lirismo, la poesia e l’astrattezza poste come linguaggio fondamentale per parlare di certe cose. Ma questo fa parte del mio bagaglio critico o è solo una coincidenza?; se avessi letto prima Foucault e altri testi, e poi questo di Corbellini e Jervis, avrei considerato quest’ultimi come dei meri riduzionisti, degli aridi naturalisti? E soprattutto, sono in grado di affrontare certe letture e di comprenderle davvero? Non so, direi che c’entra molto la poca o maggiore istruzione, anche se a conti fatti gli studiosi prendono la loro via e si auto confermano le proprie teorie ( c’è anche un termine per ciò, il BIAS ), altrimenti immagino che non produrrebbero nulla in preda ai dubbi. Ci penserà poi la comunità degli studiosi a sistemare le cose.


L’altro aspetto interessante è non solo tutta la vicenda attorno alla psichiatria, le varie teorie contrarie, molto diverse tra loro, ma anche la prassi medica e l’evoluzione della medicina, il fatto triste e banale, che non è solo per la crudeltà che certe pratiche venivano adottate molti anni fa, ma è piuttosto l’impotenza di fronte a ciò che non si conosce. Per questo linko due belle conferenze nelle quali è presente Corbellini a proposito di storia e medicina: