Boogie Nights – 1997, 152’, regia di P.T.Anderson.
Daisy Diamond – 2007, 94’, regia di Simon Staho.
Due film sul finire dell’anno, uno piuttosto famoso, l’altro
molto meno, anche perché non so neanche se sia stato distribuito in Italia,
comunque si trova in originale e si trovano pure i sottotitoli in italiano.
Boogie Nigths perché è scanzonato per buona parte, sono oltre due ore che
filano che è un piacere, Daisy Diamond perché al contrario è raggelante, parte
male e finisce peggio, ma lo fa con freddezza e rigore. Il protagonista di
Boogie Nights è un giovincello ben messo là dove una certa cultura mascula
asserisce che sia d’uopo essere ben messi. La protagonista di Daisy Diamond è
una giovane attrice con una brutta storia alle spalle che passa di provino in
provino, subendo meschinità e quant’altro, con una figlioletta che non smette
mai di piangere ( e che fa venire voglia a tutti credo una certa idea ). Il
mondo raccontato da Paul Thomas Anderson è quello del porno americano ( qua ci
starebbe tutto citare il reportage sugli oscar del porno di… ) nel passaggio
dagli anni ’70 agli anni ’80, un periodo interessante perché c’è stato il
passaggio dalla pellicola e quindi dai film fatti per il cinema, ai film in
cassetta. Un passaggio citato anche nel GrandeLebowski, quando Jackie Treehorn
lamenta la perdita dei sentimenti ( mannaggia mannaggia ). Non sono un cultore
del genere, quindi non saprei dire cosa è effettivamente cambiato e cosa no, al
di là delle specifiche tecniche, certamente una minore qualità da un punto di
vista filmico, meno attenzione alla storia ( ovvio che fa ridere detta così ) e
via dicendo. Ci saranno pure saggi interessanti in tema, magari un giorno
farò una ricerchina. La cosa buffa è che in Boogie Nights, il personaggio che
fa il regista sogna che il pubblico veda i suoi film non solo per andare al
cinema a farsi le seghe ( dico, gente, a pensarci mi vengono i brividi, però è
strano, pure in Caro Diario Moretti si lamenta dei tipi in tuta che si vedono i
film in casa e ormai non escono più; e quindi anche nel mondo del porno si
registra questo cambiamento sociale, dal pubblico al privato, non si
condividono più neanche le seghe, che brutto mondo ), ma che resti o che comunque
si interessi a tutta la storia. Che in fondo è semplicemente fare dei bei film
con le scene di sesso vere, come in Shortbus ad esempio. Boogie Nights è un
film corale, in cui ogni personaggio vive la propria ascesa e caduta, con le
occasioni che vanno e vengono un po’ a caso, che si intristisce ogni tanto, che
diventa pure efferato, ma senza essere duro, e dando un’altra occasione per
reinventarsi quasi a tutti. Certo, ha un po’ quell’effetto dei bei tempi andati
o del “poi sappiamo come sono andate le cose”, ma non ha praticamente punti
morti e diverte. E poi c’è la scena del capodanno che è fenomenale. Daisy
Diamond è più complesso nei rimandi e più spartano nel racconto, fisso sulla
protagonista, sulla sua discesa nella dannazione per purificarsi. È molto
didascalico per certi versi, nel seguire le varie fasi del dramma, però
impreziosito dal fatto che essendo un’attrice, la protagonista intreccia vita
reale e vita di scena ( in realtà provini, mai veramente in scena ), più vita
sognata e redenta. C’è una totale solitudine ( con un piccolo momento di
tenerezza e di confidenze ), un senso di squallore e di beffa crudele. È un
film forte che dà modo di riflettere su un personaggio, sulla sua storia. Il difetto
è che mi pare tutto molto aggiustato, e che anche se il dolore non viene usato
in maniera “ricattatoria” comunque sembra che stia lì per arrivare a dire
qualcosa di extra che non capisco.
Per settant'anni la mia opinione sulle donne non ha fatto che peggiorare, e peggiora ancora. La questione femminile! Certo che c'è una questione femminile! Solo che non riguarda come le donne debbano prendere il controllo della vita, ma come possano smettere di rovinarla.
Tolstoj il misogino
Lo scopo della vita non dovrebbe essere trovare la gioia nel matrimonio, bensì portare più amore e verità nel mondo. Ci sposiamo per aiutarci reciprocamente in questo compito.
Tolstoj il femminista
Provo una grande tenerezza per lei ( la figlia Maša ). Solo per lei. Lei compensa gli altri, potrei dire.
L’intero capitolo 19 del Re Pallido è incentrato sul senso civico, sulla democrazia in America, sull’individualismo, sulla protesta anni ’60 divenuta moda inglobata dalle corporazioni, per finire a un modello in cui i cittadini da produttori sono diventati consumatori. È un discorso che avevo più o meno trovato in Consumed, di Barber. È un capitolo di dialoghi fra funzionari delle Entrate. Si parla di de Tocqueville e Rousseau, di Padri Fondatori, di Jefferson. Per coincidenza io sto “studiando” la Rivoluzione americana al serale, per cui doppio gusto. Nel dialogo il riferimento a de Tocqueville è questo: “dove dice che una particolarità delle democrazie e del loro individualismo è che per loro stssa natura erodono il senso di vera comunità del cittadino, l’impressione di avere davvero concittadini con preoccupazioni e interessi uguali ai suoi. Che è un paradosso agghiacciante, a pensarci, perché una forma di governo architettata per produrre uguaglianza rende i suoi cittadini così individualisti e presi da se stessi che finiscono col diventare solipsisti, concentrati sul loro ombelico”. Poi vado sul mio libro di storia per le superiori e per fortuna c’è una pagina proprio da Lademocrazia in America, del 1835, di de Tocqueville. Ed è effettivamente agghiacciante, aldilà del tono plumbeo ( fa venire in mente quella scena dei Simpson in cui Marge incontra Stephen King ): “Penso che la specie di oppressione che minaccia i popoli democratici non assomiglierà a nessuna di quelle che l’hanno preceduta nel mondo; le vecchie parole come “dispotismo” e “tirannide” non sono più adeguate ( sarebbero venuti i totalitarismi è vero, ma il senso rimane ). Vedo una folla innumerevole di uomini simili che non fanno che ruotare su se stessi, per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui saziano il loro animo. Al di sopra di costoro si erge un potere immenso e tutelare; è contento che i cittadini si svaghino, purché non pensino che a svagarsi. Lavora volentieri alla loro felicità, ma vuole esserne l’unico agente ed il solo arbitro”. Ora, io non saprei bene cosa dire. Se pensiamo ad oggi, uno dei temi “nuovi” è che il principio della delega mostra alcuni limiti. Le scelte economiche sono dettate senza che le si possa mettere in discussione. Non sono portato per una discussione di questo genere, però mi ha colpito il passaggio di de Tocqueville. Che i libri di Wallace ne siano impregnati è adesso ancora più interessante. Per esempio il tema della consapevolezza. L’insegnamento che teneva più a cuore di fronte agli laureandi e che viene però in certo senso messo in dubbio sia in Infinite Jest, sia nel Re Pallido, quando in due brevi passaggi scrive chiaramente che le scelte che poi condizioneranno la nostra vita non sono mai consapevoli. Da una parte la consapevolezza per toglierci questa sensazione di centro dell’universo, con le sue implicazioni esistenziali di nullità assoluta in confronto, che sfociano nel consumo compulsivo, nel dover essere qualcuno, lasciare il segno. Dall’altra il pensiero accidentale, quello che si manifesta in piccoli e inconsistenti frammenti, ma che ci direziona eccome.
La cosa bella è di essermi accorto di un filo conduttore tra le opere, o almeno così mi è parso. In fondo non c’è nulla di tortuoso, ma per una persona che non ha studiato non è così semplice andare più a fondo nella lettura. Quindi oltre alla sensazione di leggere un autore con cui si “sente” qualcosa di affine, ma non si sa bene dire cosa, si è aggiunta la sensazione di cominciare a ascoltarlo veramente. Anche se poi le pagine finiscono e mi pare sempre che manchi qualcosa, forse perché mancano delle opere. O perché non capisco e la riflessione rimane superficiale.
Ok, non mi odiate, perdonate l'entusiasmo da primo giorno di scuola. Oltretutto faccio un sacco di assenze.
Vado a cercare un poster di DFW