(non credo che tornerò a produrre uno psicoanalista livornese alla settimana, ma questa dovevo pubblicarla)
martedì 29 novembre 2011
lunedì 28 novembre 2011
Berenice and Ligeia were going to...
Premessa. I film in questione non sono usciti in Italia e non so se usciranno.

THE WOMAN – USA 2011, 101’. Regia di Lucky McKee.
Un horror particolare, quasi svuotato di tensione ma con impennate di brutalità che lasciano il segno. C’è una stana famiglia, il padre che è quello che nella vita si trova più a suo agio è anche il più fuori di tutti, una specie di nazi maniaco in completo da lavoro tazzina di caffè in mano; la moglie ha un che di angoscioso, è trattenuta in qualsiasi cosa che fa o dice. La figlia maggiore è in pena, forse è incinta. Il fratello più piccolo passa il tempo a fare tiri a canestro tenendo il conto degli errori, e coltivando la stessa follia del padre. La vita procede per immagini lente con musica sotto tipo black hole sun o muscle museum ( intendo i videoclip, le musiche in sé ricordano piuttosto i pixies ) si capisce che va tutto in frantumi ma la sofferenza tiene attaccati i pezzi, e poi c’è il padre nazi a dare gli ordini, calmo e compassato of course. Finché arriva la sorpresa: il padre nazi un giorno va a caccia e mentre punta il suo bel fucile con tanto di mirino tra gli alberi scorge una donna intenta a farsi il bagno in un fiume, vestita di stracci, coperta di fango e intenta a cibarsi di pesci vivi presi con il coltello. Negli occhi del padre nazi scatta un ideuzza birichina che potrei raccontarvi ma è meglio se la scoprite da soli.

EDEN LAKE – UK 2008, 91’. Regia di James Watkins.
Sebbene ricalchi serie di horror visti e rivisti, a partire dai terribili l’ultima casa a sinistra e I spit on your grave, rimescola le carte e restituisce una visione deprimente dello stato delle cose, oltre a colpire duro senza indulgere nel compiacimento dei titoli citati sopra o dei film appartenenti più o meno ai sottogeneri detti rape & revenge o torture porn. Una giovane coppia parte per trascorre il week-end in un posto fuori mano, dove c’è un lago e i boschi e tutto il resto. Sono belli, benestanti e di buone maniere. Si trovano a condividere lo spazio con dei ragazzi problematici, che disturbano la quiete della coppia. Sono strafottenti e violenti, c’è poco da fare. L’uomo ha un diverbio con loro e la situazione ovviamente precipita. Il gruppo ruba l’auto della coppia, poi c’è un litigio; l’uomo per errore uccide il cane del gruppo e comincia l’inferno. C’è un che di malsano in film del genere, e in effetti c’ho pensato a lungo prima di recensirlo, anche durante la visione sale un certo disagio nel ritrovarsi a voler vedere quello che succede, nonostante il film sia condotto con rigore e realismo, al punto di punire in qualche modo la curiosità.

THE WOMAN – USA 2011, 101’. Regia di Lucky McKee.
Un horror particolare, quasi svuotato di tensione ma con impennate di brutalità che lasciano il segno. C’è una stana famiglia, il padre che è quello che nella vita si trova più a suo agio è anche il più fuori di tutti, una specie di nazi maniaco in completo da lavoro tazzina di caffè in mano; la moglie ha un che di angoscioso, è trattenuta in qualsiasi cosa che fa o dice. La figlia maggiore è in pena, forse è incinta. Il fratello più piccolo passa il tempo a fare tiri a canestro tenendo il conto degli errori, e coltivando la stessa follia del padre. La vita procede per immagini lente con musica sotto tipo black hole sun o muscle museum ( intendo i videoclip, le musiche in sé ricordano piuttosto i pixies ) si capisce che va tutto in frantumi ma la sofferenza tiene attaccati i pezzi, e poi c’è il padre nazi a dare gli ordini, calmo e compassato of course. Finché arriva la sorpresa: il padre nazi un giorno va a caccia e mentre punta il suo bel fucile con tanto di mirino tra gli alberi scorge una donna intenta a farsi il bagno in un fiume, vestita di stracci, coperta di fango e intenta a cibarsi di pesci vivi presi con il coltello. Negli occhi del padre nazi scatta un ideuzza birichina che potrei raccontarvi ma è meglio se la scoprite da soli.

EDEN LAKE – UK 2008, 91’. Regia di James Watkins.
Sebbene ricalchi serie di horror visti e rivisti, a partire dai terribili l’ultima casa a sinistra e I spit on your grave, rimescola le carte e restituisce una visione deprimente dello stato delle cose, oltre a colpire duro senza indulgere nel compiacimento dei titoli citati sopra o dei film appartenenti più o meno ai sottogeneri detti rape & revenge o torture porn. Una giovane coppia parte per trascorre il week-end in un posto fuori mano, dove c’è un lago e i boschi e tutto il resto. Sono belli, benestanti e di buone maniere. Si trovano a condividere lo spazio con dei ragazzi problematici, che disturbano la quiete della coppia. Sono strafottenti e violenti, c’è poco da fare. L’uomo ha un diverbio con loro e la situazione ovviamente precipita. Il gruppo ruba l’auto della coppia, poi c’è un litigio; l’uomo per errore uccide il cane del gruppo e comincia l’inferno. C’è un che di malsano in film del genere, e in effetti c’ho pensato a lungo prima di recensirlo, anche durante la visione sale un certo disagio nel ritrovarsi a voler vedere quello che succede, nonostante il film sia condotto con rigore e realismo, al punto di punire in qualche modo la curiosità.
sabato 26 novembre 2011
venerdì 25 novembre 2011
mercoledì 23 novembre 2011
Poesia in forma di nota /25
*
comunque:
ho impiegato circa un’ora a restaurare
quel poco di risentimento che ti porto
(ma, pulendo e ripulendo, i conti tornavano sempre a tuo
favore)
(e questo mi faceva ancora più incazzare)
e della vita che tu fai
non oso chiederti
se il rancore per te è tutto alle spalle,
perché il mio è ancora qui davanti
* non mi succede quasi mai
(dormo, e bene, quasi
sempre)**
** tranne questi casi molto rari
in cui sogni successivi di struttura simile
- sempre io che cado, o che faccio una cazzata,
o che ammazzo qualcheduno e la faccio sempre franca –
mi ricordano quello che ho deciso di rimuovere***
*** (sono svogliati, questi sogni,
per la piattezza dei simboli che offrono;
ed è impossibile difendersi)
giovedì 13 ottobre 2011
Un programma credibile per la Sinistra Italiana
Non seguire il discorso del premier e relativa discussione alla camera libera molto tempo ai nostri valenti deputati della sinistra.
Volevo perciò proporre alla loro attenzione un programma minimalista in due semplici punti, fotografato dalle parti della Valle d'Aosta (concretezza montanara, difatti).
Con questo, secondo me le elezioni si vincono (anche se metà programma, noteranno i più scaltri, è copiato a Forza Italia/ PDL)
(P.S. Sono l'unico ad aver riso moltissimo per uno dei motivi addotti da B. circa la necessità di cambiare nome al PDL, e cioè che le persone lo chiamano LA PDL?)
mercoledì 12 ottobre 2011
Finnegans Wake, il nuovo romanzo di Domenico Scilipoti
E' un periodo incasinato, ma presto ritornerò a postare con un minimo di continuità (da quanto lo ripeto?) e ci sono pure delle ottime recensioni di Stefano in coda (grazie Stefano!)
Intanto: ho trovato su nonleggerlo un comunicato dell'ottimo Scilipoti, l'uomo delle 65000 visite alle favelas brasiliane, quello che il 14 dicembre si è immolato per la patria ma che ora ci sta ripensando. Ve lo dono, perché è un pezzo di bravura gaddiana/joyciana quasi incredibile.
Sono lacerato dal piacere, nella mia individualità personale e familiare.
Roma, 08/10/2011. La insensibilità di Chi pensasse con aprioristici veti di impedire soluzioni utili, reali, definitive ed attese a dimostrare esclusivamente la insopportabile distanza e la tracotante diffidenza che, purtroppo, insistono tra detentori del potere e rappresentanti dello Stato esclusivamente formale e cittadini comuni facenti parte unicamente dello Stato reale, è a terribilmente dimostrare quanto si pensi di poter calpestare utilità sicure, vantaggi pratici ed attese popolari indilazionabili, coniugando la sussistenza di farraginose, non più tollerabili ed insuperate, sterili pendenze, peraltro costose ed assolutamente carenti di vantaggiosi riscontri, con soluzioni di immediatezza ed ovvia utilità. Con ciò è a significarsi quanto l’essere pateticamente teoretici congiunga e faccia attanagliare il bieco conservatorismo di facciata, privo di efficacia e latitante di praticità, concretezza e sensibilità alle contrastanti esigenze sia di taglio economico e finanziario statuali come anche alle attese più sentite di milioni di cittadini indebitati e lacerati nella propria individualità personale e familiare.
On. Dott. Domenico Scilipoti
scilipoti_d@camera.it
www.domenicoscilipoti.it
lunedì 3 ottobre 2011
Cosa racconteremo dei film che (non) vedremo di questi cazzo di anni zero
(LA RUBRICA DEI FILM DI STEFANO - Stef, vai a vedere Sex and Zen 3D e ce ne fai la recensione?)
THERE WILL BE BLOOD – USA 2007, 158’ . Regia di Paul
Thomas Anderson.
Raramente mi è capitato di vedere un film con una tale forza
espressiva capace di farti rimanere immobile al punto che quando rifiati dopo
una scena hai le gambe che ti fanno male. Prima se pensavo al cinema puro
pensavo a Kubrick o Leone, adesso mi viene in mente subito questo film.
I primi quindici minuti, favolosi, con una sirena ( Jonny
Greenwood, suoni con la band più fica e sei pure un gran compositore! ) sparata
verso le frontiera, dove un uomo è in cerca di sangue nero.
Certo bisogna menzionare Daniel Day-Lewis ( e bisogna
vederlo in originale sennò non vale ) e accennare alla storia. Daniel Plainview
è uno che sa trovare i pozzi buoni, porta con sé il figlioletto orfano del suo
amico, sia per devozione che per far buona impressione con la gente, e un
giorno si imbatte in un ragazzo che dice che dove abita lui di petrolio ce n’è
a volontà. È la svolta. Plainview accresce sempre di più le sue fortune, arriva
a rifiutare contratti milionari per fare di testa sua e portare il petrolio
ovunque senza bisogno di nessuno. Ma più il petrolio viene estratto più cresce
il suo odio, verso tutti. Verso il predicatore con cui deve scendere a patti
per farsi vendere le terre dalla gente che pende dalle sue labbra; verso suo
figlio, rimasto sordo dopo l’incendio alla torre d’estrazione, verso chiunque
provi a vivere in maniera serena. Musica: Fratres
di Arvo Pärt e questo
di Brahms. Poi i pezzi di Greenwood: Popcorn Superhet Receiver,
Prospectors
Arrive e Convergence.
Questo film invece ti attanaglia con la miseria umana, con
il razzismo e la ferocia di cui siamo capaci. Ambientato in Messico, ma pare
che nel futuro prossimo sorgeranno “zone” in diverse parti d’Occidente, dove
all’interno di una grande città sorge un quartiere speciale, una zona appunto,
con i muri e i recinti, con l’ingresso e l’uscita controllati da guardie
private, con un proprio sistema di video-sorveglianza e un’assemblea di
quartiere. Soprattutto la possibilità di negoziare leggi private in accordo con
lo stato. Non bisogna per forza essere straricchi per vivere nella “zona”,
basta non essere come i poveri là fuori, la feccia. Succede che tre ragazzi
entrano di notte grazie alla corrente che salta, irrompono nella casa di una
signora per derubarla e uno di loro la ammazza. Interviene una guardia che
uccide due di loro e però a sua volta viene uccisa da un residente armato. Il
quartiere cercherà dapprima di non far sapere niente alla polizia, poi quando
non sarà più possibile, e intanto il ragazzo superstite è in trappola, si
metteranno d’accordo con le solite mazzette. Alejandro, uno studente non del
tutto convinto della bontà di vivere dietro un muro, finisce per fare amicizia
con Miguel, il ragazzo superstite, lo filmerà mentre confessa i suoi reati, e
cercherà di farlo uscire dalla “zona”.
CONSUMATI. Da
cittadini a clienti – Benjamin R. Barber ( 2007 anno d’uscita, 2010 anno di
pubblicazione in Italia)
Barber considera il capitalismo come malato, non certo come
una malattia. Descrive il cambiamento avvenuto nell’essere passati da una
società spinta dall’ethos protestante
( parlando spesso del saggio di Max Weber ) ad un ethos infantilistico, passando per la privatizzazione del cittadino
fino alla società totalizzante, in
cui il marketing conquista ogni spazio possibile. I passaggi che ho trovati
attinenti ai due film sopra sono quelli in cui racconta i capitalisti di una
volta ( addirittura Jakob Fugger ), parlando di Rockfeller, che mi ha ricordato
il Daniel Pleinview del Petroliere. Così viene descritto Rockfeller, citando un
passaggio dalla biografia scritta da tale Chernow: “nell’intento di imporre un
ipertrofico desiderio di ordine in un industria senza legge e senza Dio, che
poi era quella petrolifera, Rockfeller dimostrava una brama di dominio […] un
atteggiamento di superiorità messianica, e un disprezzo per gli inavveduti che
si mettevano sul suo cammino, oltre che una forma di crudeltà competitiva,
mancanza di scrupoli e collusione su larga scala senza precedenti”. Tutto ciò
comunque inserito nell’ottica dell’ethos protestante.
Per quanto riguarda il film messicano ho trovato questo
lungo passaggio: “negli ultimi vent’anni abbiamo assistito
all’esternalizzazione e alla privatizzazione delle funzioni di polizia nei
paesi sviluppati e in via di sviluppo, ancora una volta guidate dagli Stati
Uniti”. C’è un accenno alle carceri for
profit, non più attente alla punizione e alla riabilitazione dei cittadini,
ma alla competizione con altre aziende. Infine si arriva “all’assunzione di
agenti di custodia privati e la creazione di comunità chiuse e segregate che
caratterizzano sempre più le periferie americane, che tentano di isolarsi dal
degrado urbano. A Parigi e Londra, la valenza è opposta: lì le ricche enclave
del centro cercano di isolarsi dalle banlieue. L’isolamento è però inefficace:
gran parte dei mali urbani, dalle droghe e dalle gang alle armi e alla
delinquenza giovanile, hanno seguito le popolazioni del ceto medio che si
ritiravano dalle zone centrali per rifugiarsi nelle fasce suburbane e nelle
aree verdi decentrate. E i ghetti della periferia non isolano le élite del
centro dalla violenza e dal caos, come hanno imparato i francesi nell’autunno
del 2005. La privatizzazione della sicurezza non funziona un granché. Inoltre,
isolare le comunità povere privatizzando la sicurezza per i ricchi vuol dire
dividere il popolo e corrompere la cittadinanza democratica. Significa minare
il concetto stesso di sicurezza pubblica, la cui legittimità dipende
interamente dal suo essere costituita e applicata collettivamente. Distribuire
i benefici della sicurezza in base alla classe o al reddito o permettere a
gruppi di una comunità di creare una propria sicurezza privata significa, di
fatto, abrogare il contratto sociale”. Ci sarebbe anche da menzionare il
paradosso delle guardie di sicurezza private utilizzate nelle missioni all’estero
( vedi Iraq ), con la situazione assurda dell’ambasciatore statunitense
protetto da esse invece che dai soldati. Oltre al fatto che gli appalti sono
assegnati dagli uomini di governo che siedono nei consigli d’amministrazione
delle società a cui vengono assegnati tali appalti. Senza contare che queste
forze “speciali” in pratica non rispondono a nessuno.
Iscriviti a:
Post (Atom)