martedì 10 maggio 2011

Fiction's about what it is to be a fucking human being (la rubrica dei Film di Stefano)


ANTICHRIST –  MEZZA EUROPA 2009, 104’. Regia di Lars von Trier.
L’impressione è che sia un film da prendere sul serio nonostante faccia molto per farsi detestare (oppure che non sia da starci troppo a perdere tempo malgrado la notevole messa in scena). E che sia inoltre un film in pezzi, video, foto e una storia, dove la qualità visiva arriva ad essere eccelsa, ma che allora mal si presta ad un film, meglio ipotizzare un altro prodotto, con tutta la parte narrata messa su carta, e poi corredata dai video, tipo audio-books. La storia in breve è quella di una coppia che perde il figlio e deve affrontare la deriva mentale che incorre nella donna. Il film è diviso in capitoli, prologo ed epilogo sono due videoclip, con tanto di musica, Lascia ch’io pianga, aria tratta dall’opera Rinaldo di Händel, i capitoli seguono le fasi dell’elaborazione del lutto, dolore, ansia e altro che non mi ricordo. C’è una prima parte psico-analitica e una seconda che è una favola dell’orrore, Lei non controlla più se stessa, ed agisce per annientarsi e per annientare l’altro, il suo uomo. Il rapporto di coppia evidenzia una subalternità, l’uomo, uno psico-terapeuta sempre razionale e controllato (che però decide di curare sua moglie andando contro la prassi pare) e la donna, scrittrice, che prenderà con sé tutta la follia possibile. Il senso di colpa per non essere stata abbastanza attenta al figlio (il prologo mostra infatti il bambino che cade dalla finestra dell’appartamento mentre i genitori scopano in slow motion, che è sì una sequenza magnifica, bianco e nero, dettagli sublimi ecc.); il disagio che prende forma quando trascorre un’estate sola con il figlio nel bosco chiamato Eden a scrivere una tesi sul genocidio delle donne nel medioevo; un impulso irresistibile al sesso sfrenato; il disagio che culmina in follia pura, considerarsi l’incarnazione del male, il male da estirpare dal proprio corpo. Ci sono molti simboli, che hanno a che fare con Satana ed affini, ci sono i sogni, o gli incubi, c’è una scena molto violenta che potrebbe essere indigesta per qualcuno (tipo mia madre che quando comincia un film e le prime scene non sono uno spot del mulino bianco dice “oddio mette paura!”, pure se è raiuno alle nove de sera); c’è che insomma è un film di Lars Von Trier, per me non è né un capolavoro né una porcata,  però è noioso, i dialoghi tra i due con i giochetti psico-sticazzi sono insopportabili; il personaggio di Dafoe è un rompicoglioni che parla con il DSM in mano; è sfilacciato insomma. Non mette addosso inquietudine, non spaventa, affascina magari, non coinvolge però è capace di fissare alcune immagini, quello gli va riconosciuto. Anche una ridicola, la volpe che parla (non è accondiscendente): “il caos regna”.  



HABEMUS PAPAM – ITA/FRA 2011, 104’. Regia di Nanni Moretti.
Premetto che Nanni Moretti è fra i miei registi preferiti, poi che parlo di questo film perché l’ho visto al cinema (finalmente! Gli altri tutti in cassetta, come il detestabile in tuta pizza d’asporto e vhs) e che in fondo è per dire va beh, vedete questo o un altro, insomma viva Moretti!
Poi perché c’è la musica di Arvo Pärt, il Miserere ( suggerisco ascolto prima, ripeto: prima, di questo la seconda parte la trovate facile, e poi di quest’altro ). Non è un film tutto riuscito, straordinario fino all’urlo di Melville, à la francese ( questo papa neo eletto che si rifiuta, che non riesce, non è all’altezza ), e ai cardinali che si ritirano sgomenti dal balcone della Basilica di San Pietro; incerto poi quando Moretti fa il suo ingresso; imbarazzato direi, ancora la piega che il film dovrà prendere non si vede. Uno psicanalista, il migliore ( “me lo dicono tutti!” ), chiamato a risolvere il problema, che non si raccapezza. Poi il papa fugge per le vie di Roma, barcolla piuttosto, irascibile a tratti. Deve in qualche modo parlare, deve ricordarsi chi diavolo è, che ha fatto finora, che voleva fare prima di arrivare a ‘sto punto. Man mano il film si libera e riacquista i toni di cui è capace il regista, è giocoso e toccante, intimo; lo psicanalista organizza tornei di pallavolo per i cardinali, e il papa si riprende e capisce che no, non fa per lui. Finalmente il conclave è mostrato per quello che è, niente Codici da Vinci (a proposito, nel Pendolo di Foucalt di Eco in una pagina viene riassunta tutta la trama del primo che sarà) intrighi e misteri. Il papa è quello che è, un uomo, la folla di gente che sta sotto ad aspettare suscita gioia pure ad un insensibile comme moi. C’è forse un eccessiva presenza di Moretti, o almeno una difficoltà a sganciarsi dal personaggio per un film come questo, in cui serviva l’attore e basta, però non è detto. C’è forse una fiacchezza scenica, ma è il tono credo, non minore, mellifluo piuttosto, vago, indefinito, più sul modale. Apertura solenne, accento fortissimo, ripresa a fatica, andante con brio, finale triste, umana dolcezza arretra di fronte al fragore immenso, con un filo di voce sottratto al pianto. Abbiamo paura. 

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