Poi non ce l'ho fatta ad andarci ogni giorno, alla festa del Partito delle Libertà.
Un po' perché ho lavorato notte e giorno, un po' per come è andato il mio secondo tentativo, di cui riesco a scrivere soltanto adesso.
Sono riandato alla festa la stessa sera del giorno in cui ho fatto la prima ricognizione (lunedì 27). Alle nove meno venti, con l'intervista a due ministri in programma di lì a venti minuti, immaginavo ci sarebbe stata una folla più corposa che all'una e mezzo del pomeriggio.
Non era così: scomparsi i turisti, poche anime si aggiravano tra gli stand.
Nel buio, colgo una particolarità del palco principale che durante la visita pomeridiana mi era sfuggita: sul palco, ovviamente sopraelevato rispetto allo spiazzo del castello, ci sono una decina di file di sedie (per le personalità importanti del partito?) e un ulteriore piccolo palco, sopraelevato anche rispetto ad esse, su cui probabilmente si esibirà Berlusconi. E' una rappresentazione abbastanza chiara della struttura del partito: capissimo in alto, maggiorenti a lui inferiori, popolo indistinto (niente sedie nello spiazzo, ne qualsiasi altro tipo di struttura se non i miseri gazebo di cui parlavo nello scorso post).
Lo stand dei libri in realtà è molto meno esteso di come mi ero immaginato: in realtà è un tavolo piccolissimo: il resto dello spazio è occupato da uno che vende il miele e che agita un bastone con in cima attaccata un'ape di plastica e da un altro tavolino con il salame e la scamorza, credo in libero assaggio. Benché affamato, non mi avvicino.
Il fatto che ci sia così poca gente (nell'intero stand a dir tanto dieci persone, compresi gli omini dietro le bancarelle) mi intimidisce: non vorrei che qualcuno mi rivolgesse la parola, non so se sarei in grado di reggere il gioco.
Mi allontano dalle bancarelle e vado verso lo spazio in cui c'è la mostra sul santo volto del premier e le sue avventure all'estero: c'è un po' più di gente, qui, e mi sento se possibile ancora più a disagio. Mi accorgo finalmente - tenevo lo sguardo così basso da non accorgermene, fino ad allora - che il mio camminare laterale e il mio sguardo sfuggente sono gli stessi di molti altri presenti. Capisco così che almeno metà dei presenti sono, come me, feticisti dell'osservazione antropologica.
Mentre ancora sto metabolizzando quest'agnizione, passa una ragazza in bicicletta.
E' bellissima, fa lo slalom tra la gente presente, pedala con la pedalata a ginocchia convergenti con cui pedalano le ragazze in gonna, e la cui tecnica non comprendo.
Mentre evita i passanti fischietta. E' evidente che non fa parte della festa, e che si trova a passare di là e che non lo fa neanche per curiosare. Mi guarda fisso per un attimo e nel suo sguardo leggo prima un riconoscimento e poi un "e tu che cazzo c'entri?".
Io le do ragione dentro di me, ma non riesco a non abbassare lo sguardo, perché non ho scusanti.
A quel punto ho capito che me ne dovevo andare, e che quel poco che doveva accadere alla Festa della Libertà doveva accadere senza che di me.
(In realtà: oggi al discorso del premier mi sarebbe piaciuto andare, per vedere chi c'era e come commentava. Ma ho temuto un travaso di bile, e ho tenuto fede all'ormai metabolizzato fallimento della mia decisione di raccontare l'evento)
2 commenti:
Non mi stupisce che tu abbia riposto il vacuometro e ti sia defilato, bisognerebbe avere l'emotività di un vulcaniano per tollerare un'esperienza del genere :)
ho scoperto che non ce la potevo fare!
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