Michel Houellebecq
"La carta e il territorio"
Bompiani, 20,00 euro
Pensavo, dopo Piattaforma, di non leggere nessun altro romanzo di Houellebecq. Perché mi aveva un po' rotto le palle: innanzitutto con la fissazione per il turismo sessuale (dopo un po' stufa anche il giochino divertente di parlare esattamente come un depliant pubblicitario), e poi per il tentativo troppo scoperto di scandalizzare a priori, e per i discorsi sempre uguali sul sesso e sul destino dell'occidente, capaci di ammazzare qualsiasi discorso interessante sull'uomo, sull'arte e tutto il resto.
Per La possibilità di un'isola ho resistito nel mio intento: mi sono bastate poche pagine a capire che era più o meno la stessa solfa, con una vaga rispolverata fantascientifica, per altro già tentata, e meglio riuscita, ne Le particelle elementari.
Per La carta e il territorio, invece, ci sono ricascato: le prime pagine, lette in libreria, che descrivono il protagonista preoccupato per la sua caldaia e intento a dipingere il quadro "Jeff Koons e Damien Hirst si spartiscono il mercato dell'arte", non mi erano sembrate male. Più controllate e più intelligenti di quanto Piattaforma sia mai riuscito ad essere.
E non mi pento di averlo comprato e letto: Houellebecq, anche se questo romanzo non è granché, si è liberato di molti suoi tic: c'è sempre la fissazione con il turismo (ma questa volta all'interno della Francia), ma priva del solito discorso sulla gioia connessa al godere di varie forme di prostituzione (in realtà ci sono accenni a questo tema, ma per fortuna sono limitati a personaggi molto minori), c'è una narrazione (come in Particelle) che sembra scritta da un accademico del futuro (o meglio, da qualcuno che scrive una biografia partendo dai tediosi articoli degli accademici del futuro), ci sono discorsi non stupidi sui sentimenti fatti da personaggi che mostrano l'assenza del desiderio (ancora: come in uno dei due protagonisti di Particelle) più che il suo dominio assoluto (e soprattutto, mancano tutte le tediosissime scene di sesso).
La storia raccontata non è nient'altro che la biografia di un artista (fotografo e poi pittore), Jed Martins, del suo rapporto con l'arte e dei suoi scarsi rapporti con il mondo (suo padre, due donne, una prostituta e una manager nel campo del turismo, giusto per rimanere negli ambiti di cui Houellebecq parla di continuo), e dell'unico momento in cui vorrebbe provare amicizia per qualcuno (Houllebecq stesso, qui personaggio del suo stesso romanzo).
A un certo punto il romanzo vorrebbe avere una parte di giallo: ma, quali che siano stati i motivi di Houellebecq per inserire questa svolta (soldi? parodia dei gialli oggi in voga? paraculaggine?), è una parte eccessivamente brutta per discuterne a lungo.
Cosa non va (a parte la svolta gialla, brutta tutta, da capo a piè, a parte il personaggio dell'ispettore):
1) la riflessione sull'arte di Jed Martins è patetica, e non è assolutamente abbastanza per tenere su un romanzo. Non è un caso che il suo più grande risultato teorico sia uguale a un titolo di un manuale di PNL (vedi foto);
1bis) tutta la riflessione sul lavoro è abbastanza inutile e presagisce un Houellebecq che tra qualche anno si da al cattolicesimo o almeno difende i "bei vecchi valori di una volta"
2) in tre diverse occasioni, cento pagine dopo la sua prima apparizione, Houellebecq ritiene necessario introdurre il suo sé fictional con la formula "Houellebecq, l'autore di Piattaforma/ Estensione/ Le Particelle" (meno male che poi muore, altrimenti doveva citare anche Lanzarote): è un segno di sciatteria nell'uso della lingua che trovo insopportabile, anche se è messo lì apposta, per ottenere un effetto non-lirico. Lo trovo insopportabile soprattutto se è messo lì apposta (ripeto: è solo la punta dell'iceberg di una lingua che si vorrebbe fredda e invece di solito è semplicemente sciatta)
Cosa mi è piaciuto:
Non lo so. mi aspettavo che mi desse fastidio e invece no. E' un romanzo sull'assenza di desiderio fisico e sull'assenza di voglia di parlare, e in questo riesce ad essere molto vero.
2 commenti:
ma il libro ha a che fare con Alfred Korzybski o no?
temo che sia un ispiratore (tra l'altro mi pare ci sia anche l'aneddoto dei biscotti per cani, ma non ne sono sicuro)
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