C’è un senso di perplessità e di rilassatezza in questi
film, opere insolite per il panorama che siamo soliti osservare. Modi di
raccontare affidandosi solo alle immagini e ai suoni d’ambiente e ad episodi
che si possono o meno legare fra di loro. Sembra quasi di assistere ad una
continua pausa di un viaggio, quando si va nei paesini di montagna e a un certo
punto ci si siede da qualche parte e si osserva quello che succede. Non succede
nulla, ma nell’attesa si guarda. Paesini dalle viuzze così strette che a
passeggiarci sembra di invadere lo spazio degli abitanti. Più naturalistico Le
quattro volte, con il suo scandire il passaggio della vita attraverso la morte di
un vecchio, la nascita di una capretta, l’abbattimento di un albero e pure la
lavorazione di un minerale. Più misterioso Il dono, che svicola anche nell’osceno
e che ritrae un vecchio alle prese con la suoneria del cellulare e una foto
porno che non sappiamo cosa stia a fare. Ci vuole pazienza, è vero, però
qualcuno potrà trovare uno sguardo diverso dal solito.
Un'intervista al regista Michelangelo Frammartino
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