BUS 174 - Bra 2002, 150'. Regia di José Padilha e Felipe Lacerda.
L’inizio è una lunga ripresa da un aeroplano, accompagnata
da una musica minacciosa, che svela le miriadi di abitazioni delle favelas e che
prosegue mostrando le ville poco più in là e arriva fino al centro della
metropoli, a Rio de Janeiro. Sono immagini che introducono il racconto di un
sequestro da parte di un giovane disastrato attraverso le riprese di allora e
le interviste ai protagonisti della vicenda, ostaggi, familiari e persone
coinvolte sul piano amministrativo e sociale. L’effetto strano che si prova, o
almeno che ho provato, è che da una parte c’è l’empatia verso il sequestratore,
di cui apprendiamo il passato, in cui vide la madre uccisa da un rapinatore, poi
il vagabondaggio e l’unione con altri ragazzi di strada, a loro volta uccisi
dalla polizia come una sorta di “pulizia” urbana; i problemi con la droga, il
carcere eccetera; dall’altra vediamo una persona fuori controllo che minaccia
di uccidere gli ostaggi e si aspetta da un momento all’altro che qualche
cecchino lo faccia fuori. È una vittima della società e un potenziale
carnefice. Non è possibile uscire dalla contraddizione. È un film che
ricostruisce una vita e ritorna ogni volta ai minuti della diretta del
sequestro, al volto che si sporge dal finestrino dell’autobus per gridare il
suo bisogno di essere riconosciuto e ascoltato.
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