Paolo Zanotti - Bambini bonsai
Ponte alle Grazie
17.00 €
Un’introduzione personale, come fanno gli storici della perfida Albione.
Facevo il secondo anno di università, avevo i capelli ed erano ricci, e studiavo spesso alla biblioteca della Scuola Normale.
Un giorno una tipa con vari metri di gambe e tutto il resto in indovinata proporzione mi abbordò con forza.
Subodorai subito l’inganno, ovviamente.
Voleva, in effetti, non il mio corpo ma i miei appunti di filosofia teoretica, che avevo qualche giorno prima passato con grazia rinascimentale (la tapina, invece, da brava normalista qual’era aveva rifiutato un ventotto).
Le feci dono dei miei appunti e le dissi anche che, se voleva, colle nostre copie del libro del Marcucci su Meyerson potevamo anche accenderci un gioioso fuocherello, non appena passato l’esame.
Quelle metaforiche fiamme diedero il là ad una brevissima ed estiva amicizia. Tra le poche cose che condividemmo in quei pochi mesi (tra cui non il letto, miei amati lettori, debbo disilludervi) ci fu, e non so se l’autore ne sarebbe contento, il manoscritto del primo romanzo di Paolo Zanotti. La mia nuova amica mi disse che lei e pochi altri ne stavano correggendo le bozze, e voleva che lo leggessi, e che magari lo commentassi.
Il romanzo non era male, e sebbene siano passati diversi anni ne ricordo alcuni aspetti con precisione. Mi ricordo che rimasi insoddisfatto della fine, come se il romanzo finisse trenta pagine prima o trenta pagine dopo il dovuto. Comunque, per quanto ne so, quel romanzo non è mai stato pubblicato.
Anni dopo (tre o quattro almeno, non ricordo) un altro nuovo amico insistette per farmi leggere un primo capitolo del nuovo libro dello Zanotti, senza nulla sapere dei miei trascorsi (forse anche di questo lo Zanotti non sarebbe contento: ma deve scegliersi recensori o amici più discreti, o meno generosi). Quel capitolo lì non lo lessi: persi il file, e avevo sviluppato una coscienza in quegli anni (poi l’ho ripersa): a leggere un work in progress di uno sconosciuto, e a sua insaputa, mi pareva di fargli violenza, e non me ne curai più.
Lo Zanotti poi l’ho conosciuto ad un aperitivo pisano, ma è stata giusto una sera, e non ho avuto cuore di dirgli che l’avevo già letto, otto anni prima, o qualcosa del genere.
Il libro:
“Bambini bonsai” è il primo romanzo di Paolo Zanotti, il primo che si possa leggere senza fare affidamento ai suoi inaffidabili amici, almeno.
La storia è raccontata dal piccolo Pepe, bambino che cresce, in un futuro non eccessivamente lontano, nell’agglomerato di profughi che si è stabilito nel cimitero monumentale di Staglieno, a Genova. Nel mondo di Pepe tutte le specie animali si sono estinte e di loro non rimangono che i documentari, il caldo e il sole non danno tregua, le isole sono state sommerse, il mondo è un via vai di rifugiati che cerca un posto dove vivere nei pochi pezzi di costa ancora abitabili.
Pepe si muove tra le statue del cimitero e i fantasmi degli animali estinti, tra la baracca in perenne costruzione che condivide col padre semi meccanico e la madre bellissima e sfuggente e la torre di zia Incarnazione, l’ultima che ha visto i gabbiani dal vivo. Poi arriva la pioggia, o meglio il diluvio, e Pepe, come tutti i bambini di questo nuovo mondo, abbandona il mondo degli adulti e parte, insieme alla piccola Primavera, per un viaggio che è il rito di passaggio dei nuovi bambini. Durante questo viaggio conoscerà - tra gli altri - Sofia, la bambina a cui si rivolge nel ricordare e spiegare che costituisce il romanzo.
La prima parte del romanzo illude - ma basta rileggerla, una volta finito il romanzo, per rendersi conto dell’abbaglio che si è preso - che possa avere uno sviluppo leggero come di un romanzo riuscito di Benni, soprattutto per i suoi personaggi (e, sia inteso, questo vorrebbe essere un complimento). E invece è un romanzo cupissimo, e riuscitissimo proprio nella disperazione di alcune sue scene (ogni volta che i bambini arrivano al mare), nei richiami ai bambini del Signore delle Mosche, nell’inseguimento tra Pepe e Petronella, una scena che a me ricorda (ma questo probabilmente ce lo vedo solo io) l’inseguimento di Tancredi e Angelica nel Gattopardo e che rimesso in scena da un bambino confuso e da una bimba ricca viziata e semi ubriaca risulta sensuale e inquietante allo stesso tempo.
Il libro è un’elegia all’infazia perduta, a quello a cui si rinuncia crescendo, o almeno questa è la voce che ha Pepe, che però decide di crescere. E benché il libro finisca sulla sua scena più cupa, da qualche parte, nelle pagine precedenti, una qualche speranza si è vista.
(Poi: il libro è scritto molto bene: Zanotti ha un periodare tondo e complesso, ma io avrei voluto più descrizioni, e che si soffermasse di più su alcune scene, e che dei personaggi si arrivasse a sapere di più. Il libro pecca per brevità, e non mi capita spesso di dirlo. Spero nel prossimo romanzo a stampa, quindi, ma intanto caldeggio questo)
Ponte alle Grazie
17.00 €
Un’introduzione personale, come fanno gli storici della perfida Albione.
Facevo il secondo anno di università, avevo i capelli ed erano ricci, e studiavo spesso alla biblioteca della Scuola Normale.
Un giorno una tipa con vari metri di gambe e tutto il resto in indovinata proporzione mi abbordò con forza.
Subodorai subito l’inganno, ovviamente.
Voleva, in effetti, non il mio corpo ma i miei appunti di filosofia teoretica, che avevo qualche giorno prima passato con grazia rinascimentale (la tapina, invece, da brava normalista qual’era aveva rifiutato un ventotto).
Le feci dono dei miei appunti e le dissi anche che, se voleva, colle nostre copie del libro del Marcucci su Meyerson potevamo anche accenderci un gioioso fuocherello, non appena passato l’esame.
Quelle metaforiche fiamme diedero il là ad una brevissima ed estiva amicizia. Tra le poche cose che condividemmo in quei pochi mesi (tra cui non il letto, miei amati lettori, debbo disilludervi) ci fu, e non so se l’autore ne sarebbe contento, il manoscritto del primo romanzo di Paolo Zanotti. La mia nuova amica mi disse che lei e pochi altri ne stavano correggendo le bozze, e voleva che lo leggessi, e che magari lo commentassi.
Il romanzo non era male, e sebbene siano passati diversi anni ne ricordo alcuni aspetti con precisione. Mi ricordo che rimasi insoddisfatto della fine, come se il romanzo finisse trenta pagine prima o trenta pagine dopo il dovuto. Comunque, per quanto ne so, quel romanzo non è mai stato pubblicato.
Anni dopo (tre o quattro almeno, non ricordo) un altro nuovo amico insistette per farmi leggere un primo capitolo del nuovo libro dello Zanotti, senza nulla sapere dei miei trascorsi (forse anche di questo lo Zanotti non sarebbe contento: ma deve scegliersi recensori o amici più discreti, o meno generosi). Quel capitolo lì non lo lessi: persi il file, e avevo sviluppato una coscienza in quegli anni (poi l’ho ripersa): a leggere un work in progress di uno sconosciuto, e a sua insaputa, mi pareva di fargli violenza, e non me ne curai più.
Lo Zanotti poi l’ho conosciuto ad un aperitivo pisano, ma è stata giusto una sera, e non ho avuto cuore di dirgli che l’avevo già letto, otto anni prima, o qualcosa del genere.
Il libro:
“Bambini bonsai” è il primo romanzo di Paolo Zanotti, il primo che si possa leggere senza fare affidamento ai suoi inaffidabili amici, almeno.
La storia è raccontata dal piccolo Pepe, bambino che cresce, in un futuro non eccessivamente lontano, nell’agglomerato di profughi che si è stabilito nel cimitero monumentale di Staglieno, a Genova. Nel mondo di Pepe tutte le specie animali si sono estinte e di loro non rimangono che i documentari, il caldo e il sole non danno tregua, le isole sono state sommerse, il mondo è un via vai di rifugiati che cerca un posto dove vivere nei pochi pezzi di costa ancora abitabili.
Pepe si muove tra le statue del cimitero e i fantasmi degli animali estinti, tra la baracca in perenne costruzione che condivide col padre semi meccanico e la madre bellissima e sfuggente e la torre di zia Incarnazione, l’ultima che ha visto i gabbiani dal vivo. Poi arriva la pioggia, o meglio il diluvio, e Pepe, come tutti i bambini di questo nuovo mondo, abbandona il mondo degli adulti e parte, insieme alla piccola Primavera, per un viaggio che è il rito di passaggio dei nuovi bambini. Durante questo viaggio conoscerà - tra gli altri - Sofia, la bambina a cui si rivolge nel ricordare e spiegare che costituisce il romanzo.
La prima parte del romanzo illude - ma basta rileggerla, una volta finito il romanzo, per rendersi conto dell’abbaglio che si è preso - che possa avere uno sviluppo leggero come di un romanzo riuscito di Benni, soprattutto per i suoi personaggi (e, sia inteso, questo vorrebbe essere un complimento). E invece è un romanzo cupissimo, e riuscitissimo proprio nella disperazione di alcune sue scene (ogni volta che i bambini arrivano al mare), nei richiami ai bambini del Signore delle Mosche, nell’inseguimento tra Pepe e Petronella, una scena che a me ricorda (ma questo probabilmente ce lo vedo solo io) l’inseguimento di Tancredi e Angelica nel Gattopardo e che rimesso in scena da un bambino confuso e da una bimba ricca viziata e semi ubriaca risulta sensuale e inquietante allo stesso tempo.
Il libro è un’elegia all’infazia perduta, a quello a cui si rinuncia crescendo, o almeno questa è la voce che ha Pepe, che però decide di crescere. E benché il libro finisca sulla sua scena più cupa, da qualche parte, nelle pagine precedenti, una qualche speranza si è vista.
(Poi: il libro è scritto molto bene: Zanotti ha un periodare tondo e complesso, ma io avrei voluto più descrizioni, e che si soffermasse di più su alcune scene, e che dei personaggi si arrivasse a sapere di più. Il libro pecca per brevità, e non mi capita spesso di dirlo. Spero nel prossimo romanzo a stampa, quindi, ma intanto caldeggio questo)
5 commenti:
Visto che siamo a markette dell'ottimo zaques segnaliamo anche lo splendido saggio intitolato "Il Gay".
bella recensione
:)
Il saggio è bellissimo.
Grazie, Schw!
consolati: anche se Paolo Zanotti non lo sapeva (e probabilmente lo sapeva, perché è un artista del racconto del racconto del racconto al quadrato), sarebbe solo stato contento, di avere un 26milionesimo lettore...!
mi incuriosirebbe saperne di più su quel primo (??) romanzo inedito (le cui iniziali, se ho capito bene, fanno TD)
Le iniziali del romanzo erano T O, per quanto io mi ricordi, non T D, (la protagonista aveva un nome che a me fa semrpe venire in mente Otite degli Squallors).
Lo Zanotti mi ha confermato che non sapeva io avessi letto ma che non gli dispiace, non avendo mai egli dato consegne di segretezza ai suoi lettori!
a presto!
allora era il secondo romanzo inedito, ma primo ambientato a pisa! ciao!
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