“Come penetrare nell’intimo della gente? Era una dote o una
capacità che non possedeva. Non aveva, semplicemente, la combinazione di quella
serratura. Prendeva per buono chi lanciava i segnali della bontà. Prendeva per
leale chi lanciava i segnali della lealtà. Prendeva per intelligente chi
lanciava i segnali dell’intelligenza. E fino a quel momento non era riuscito a
vedere dentro sua figlia, non era riuscito a vedere dentro sua moglie, non era
riuscito a vedere dentro la sua unica amante: forse non aveva neppure
cominciato a vedere dentro di sé. Cos’era, lui, spogliato di tutti i segnali
che lanciava?”
Pastorale americana – Philip Roth
“Se l’identità che noi diciamo di essere non può catturarci
una volta per tutte, e allude immediatamente a un eccesso e a un’opacità che
fuoriescono dalle categorie dell’identità stessa, allora ogni tentativo di “dar
conto di sé”, dovrà necessariamente fallire per avvicinarsi a una qualche
verità. Nella misura in cui chiediamo di conoscere l’altro, o chiediamo che
l’altro dica, una volta per tutte e in modo definitivo, chi lui o lei sia, sarà
necessario non aspettarsi una risposta che possa davvero soddisfarci. Solo non
aspirando a tutti i costi a una risposta esaustiva, e lasciando che la domanda
resti aperta, che addirittura continui a insistere, noi lasceremo davvero
vivere l’altro – dal momento che la vita può essere intesa proprio come ciò che
eccede ogni tentativo di dar conto di essa. Se lasciar vivere l’altro è parte
essenziale di ogni definizione etica del riconoscimento, allora questa versione
del riconoscimento si fonderà meno sulla conoscenza che sulla percezione e
l’assunzione consapevole di certi limiti epistemici, di certe pretese di
verità.
In un certo senso, come suggerisce Cavarero, il “vero”
atteggiamento etico consiste nel porsi la domanda “Chi sei tu?” e nel
continuare a domandarselo senza mai aspettarsi una risposta piena e definitiva.
L’altro a cui pongo la domanda non sarà mai completamente catturato da una
risposta che possa soddisfarlo del tutto. così, se nella domanda vi è un
desiderio di riconoscimento, questo desiderio sarà sempre obbligato a tenersi
vivo come desiderio, a non risolversi mai in qualcosa di soddisfatto. “Oh, ora
finalmente so chi sei”: nel momento stesso in cui pronuncio queste parole io
cesso di rivolgermi a te, o di essere interpellata da te.”
Critica della violenza etica – Judith Butler
“Eppure suo padre continuava a passare i giorni e notti
cercando di convincersi che non esistevano altre spiegazioni, che non le era
mai successo nient’altro di sufficientemente orribile, nulla che fosse, anche
lontanamente, abbastanza grande o abbastanza sconvolgente da spiegare perché
sua figlia potesse diventare terrorista.”
Pastorale americana
L’accenno a Pastorale americana è contenuto nella prefazione
a Una tragedia negata di Demetrio Paolin, prefazione di Filippo La Porta. Nella narrativa italiana
che parla degli “anni di piombo” mancherebbe una figura tragica come quella di
Merry, giovanissima terrorista e martire, scheggia rivelatrice di un crollo. Paolin
esamina molte opere letterarie che trattano appunto gli anni ’70, opere spesso
uscite nell’ultimo decennio. Opere che in generale non vanno fino in fondo, si
ritraggono a un passo dal tragico. Non so fino a che punto Pastorale americana
sia tragico, probabilmente lo è nell’esasperazione del protagonista, un uomo
perfetto che non può far altro che chiedersi perché, per un dolore
incomprensibile, per una follia incomprensibile. Poi nel romanzo c’è questa
idea di mondo che va in pezzi, di morale svanita ( in fondo è un romanzo che
arriva a fine Novecento ), resa nella scena della cena, la famiglia e gli amici
di famiglia, i tradimenti incrociati, la discussione sul film Gola Profonda, il
degrado urbano, cose così. Curiosamente in questi giorni al cinema c’è un film
di Robert Redford, La regola del silenzio, che parla proprio dei Wheatermen, il
gruppo terroristico che agiva negli USA. Il film non vale il cinema, ma a parte
una certa prevedibilità e fiacchezza non è male. Uno spunto più che altro.
Tutto questo per arrivare al Rwanda ( io non lo so se me ne fotto del Rwanda,
ma effettivamente pur trovandomi ridicolo nel dirlo continuo a credere negli
altri, pure senza aspettarmi chissaché ), alla cronaca di quello che fu scritta
da Daniele Scaglione nel suo saggio Istruzioni per un genocidio.
Fra un po’ sarà la giornata della memoria per ricordare le
vittime del nazifascismo e insomma il senso è: mai più! Poi la vita e la storia
continuano e sappiamo che questo mai più è ben lontano dall’essere realizzato. Qui
dovrebbe partire un lungo pippone sul senso dell’informazione, sull’apprendere
e raccontare agli altri quello che abbiamo appreso, sul fatto che forse dei
passi avanti li abbiamo fatti ( noi chi? Certo ) oppure che vedere un percorso
è già sbagliato. Non c’è bisogno del pippone, al di là della piccola vanità di
unirsi al coro generale della produzione di contenuti nella rete, immagino che
alla fine un senso possa stare nella condivisione. Confusione personale a parte.
Nessun commento:
Posta un commento