martedì 8 gennaio 2013

Messaggio ai postumi



“Come penetrare nell’intimo della gente? Era una dote o una capacità che non possedeva. Non aveva, semplicemente, la combinazione di quella serratura. Prendeva per buono chi lanciava i segnali della bontà. Prendeva per leale chi lanciava i segnali della lealtà. Prendeva per intelligente chi lanciava i segnali dell’intelligenza. E fino a quel momento non era riuscito a vedere dentro sua figlia, non era riuscito a vedere dentro sua moglie, non era riuscito a vedere dentro la sua unica amante: forse non aveva neppure cominciato a vedere dentro di sé. Cos’era, lui, spogliato di tutti i segnali che lanciava?”

Pastorale americanaPhilip Roth

“Se l’identità che noi diciamo di essere non può catturarci una volta per tutte, e allude immediatamente a un eccesso e a un’opacità che fuoriescono dalle categorie dell’identità stessa, allora ogni tentativo di “dar conto di sé”, dovrà necessariamente fallire per avvicinarsi a una qualche verità. Nella misura in cui chiediamo di conoscere l’altro, o chiediamo che l’altro dica, una volta per tutte e in modo definitivo, chi lui o lei sia, sarà necessario non aspettarsi una risposta che possa davvero soddisfarci. Solo non aspirando a tutti i costi a una risposta esaustiva, e lasciando che la domanda resti aperta, che addirittura continui a insistere, noi lasceremo davvero vivere l’altro – dal momento che la vita può essere intesa proprio come ciò che eccede ogni tentativo di dar conto di essa. Se lasciar vivere l’altro è parte essenziale di ogni definizione etica del riconoscimento, allora questa versione del riconoscimento si fonderà meno sulla conoscenza che sulla percezione e l’assunzione consapevole di certi limiti epistemici, di certe pretese di verità.
In un certo senso, come suggerisce Cavarero, il “vero” atteggiamento etico consiste nel porsi la domanda “Chi sei tu?” e nel continuare a domandarselo senza mai aspettarsi una risposta piena e definitiva. L’altro a cui pongo la domanda non sarà mai completamente catturato da una risposta che possa soddisfarlo del tutto. così, se nella domanda vi è un desiderio di riconoscimento, questo desiderio sarà sempre obbligato a tenersi vivo come desiderio, a non risolversi mai in qualcosa di soddisfatto. “Oh, ora finalmente so chi sei”: nel momento stesso in cui pronuncio queste parole io cesso di rivolgermi a te, o di essere interpellata da te.”

Critica della violenza eticaJudith Butler

“Eppure suo padre continuava a passare i giorni e notti cercando di convincersi che non esistevano altre spiegazioni, che non le era mai successo nient’altro di sufficientemente orribile, nulla che fosse, anche lontanamente, abbastanza grande o abbastanza sconvolgente da spiegare perché sua figlia potesse diventare terrorista.”

Pastorale americana

L’accenno a Pastorale americana è contenuto nella prefazione a Una tragedia negata di Demetrio Paolin, prefazione di Filippo La Porta. Nella narrativa italiana che parla degli “anni di piombo” mancherebbe una figura tragica come quella di Merry, giovanissima terrorista e martire, scheggia rivelatrice di un crollo. Paolin esamina molte opere letterarie che trattano appunto gli anni ’70, opere spesso uscite nell’ultimo decennio. Opere che in generale non vanno fino in fondo, si ritraggono a un passo dal tragico. Non so fino a che punto Pastorale americana sia tragico, probabilmente lo è nell’esasperazione del protagonista, un uomo perfetto che non può far altro che chiedersi perché, per un dolore incomprensibile, per una follia incomprensibile. Poi nel romanzo c’è questa idea di mondo che va in pezzi, di morale svanita ( in fondo è un romanzo che arriva a fine Novecento ), resa nella scena della cena, la famiglia e gli amici di famiglia, i tradimenti incrociati, la discussione sul film Gola Profonda, il degrado urbano, cose così. Curiosamente in questi giorni al cinema c’è un film di Robert Redford, La regola del silenzio, che parla proprio dei Wheatermen, il gruppo terroristico che agiva negli USA. Il film non vale il cinema, ma a parte una certa prevedibilità e fiacchezza non è male. Uno spunto più che altro. Tutto questo per arrivare al Rwanda ( io non lo so se me ne fotto del Rwanda, ma effettivamente pur trovandomi ridicolo nel dirlo continuo a credere negli altri, pure senza aspettarmi chissaché ), alla cronaca di quello che fu scritta da Daniele Scaglione nel suo saggio Istruzioni per un genocidio.
Fra un po’ sarà la giornata della memoria per ricordare le vittime del nazifascismo e insomma il senso è: mai più! Poi la vita e la storia continuano e sappiamo che questo mai più è ben lontano dall’essere realizzato. Qui dovrebbe partire un lungo pippone sul senso dell’informazione, sull’apprendere e raccontare agli altri quello che abbiamo appreso, sul fatto che forse dei passi avanti li abbiamo fatti ( noi chi? Certo ) oppure che vedere un percorso è già sbagliato. Non c’è bisogno del pippone, al di là della piccola vanità di unirsi al coro generale della produzione di contenuti nella rete, immagino che alla fine un senso possa stare nella condivisione. Confusione personale a parte.



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