domenica 3 aprile 2011

A volte ritornano (I film della settimana di Stefano)

LA MASCHERA DEL DEMONIO – ITA 1960, 87’ b/n. Regia di Mario Bava.
Strabiliante. Una strega e il suo amante vengono giustiziati e la maledizione dovrà ricadere sulla stirpe degli esecutori. Due medici, in viaggio nella Russia raccontata da Gogol, in balia di un cocchiere ubriacone, si imbattono in una cripta. Per incidente profaneranno la tomba della strega, il sangue del dottor Kruvajan risveglierà il passato che perseguiterà i Vajda, il principe e i suoi due figli, il giovane Constantine e Katia ( Barbara Steele, come sviene lei… ) identica al ritratto della strega. Ogni cosa al suo posto, ogni inquadratura, i tagli di luce, le musiche, reggono la prova del tempo. Sono passati 50 anni e peccato solo vedere questo film in cameretta, manco un temporale di fuori a fare da dolby surround, però vale lo stesso. Uno dei primi film dell’orrore italiani, ha dei legami con The Haunted Palace di Roger Corman, stupisce per la cura delle immagini e la messa in scena degli ambienti. Si arriva all’interno del castello attraverso un incubo, uno spirito che avanza lentamente lungo i corridoi, fino ad arrivare al cospetto del padre di Katia, a ricordagli la maledizione e a gettare la famiglia nel panico. Kruvajan ormai schiavo viene condotto dal padre per morderlo al collo da un cocchiere che è un tutt’uno con la notte, il malvagio Javutich che prima di venir sconfitto porterà con sé il maggiordomo, i cani e quasi Constantine. Spazio però anche alla storia fra il giovane dottore e Katia, minacciata e impaurita: dopo averla portata in braccio e fatta stendere, Andrej le sbottona la veste per farla respirare meglio, liberandole il collo e i sospiri tutti di chi ha assistito a tale gesto; ancora una scena in cui i due sono affianco nel giardino e discutono del futuro, l’unico momento in cui forse il film eccede in cortesie e vezzi d’altri tempi, poi il regista torna con mano ferma sulla scena e consegna il gran finale: la lotta corpo a corpo tra Andrej e il malvagio Javutich e l’incontro tra la strega e Katia ( interpretate dalla Steele ), attraverso una sorta di macabro orgasmo metempsicotico ( dovrei essere punito come il critico cinematografico di “Henry pioggia di sangue” in Caro diario ), la vendetta che sembra compiersi fino all’intervento della folla, torcia in mano e rogo in testa, istruita dal barbuto Pope. Sì, la strega sarà bruciata per compiere giustizia, però è un’altra storia.


CANI ARRABBIATI – ITA 1974, 96’. Regia di Mario Bava. Tutta un’altra storia, una ventina di film dopo “La maschera del demonio” si passa al thriller puro. Niente più carezze per lo spettatore. Si parte con una rapina ad un portavalori, un po’ di morti qua e là e un bottino da cento milioni di lire. Dottore, Bisturi e 32, questi i nomi dei rapinatori, trascinano con loro una donna e mettono in mezzo un uomo fermo al semaforo nella sua macchina; in più un bambino avvolto in una coperta che l’uomo nella macchina sostiene malato e bisognoso di cure al più presto. Fuggiranno prima lungo l’autostrada e poi attraverso strade di provincia; troveranno la morte e ben più di una sorpresa. Bisturi e 32 sono personaggi ai limiti della follia, il primo sempre con il coltello in mano o conficcato in gole o pance altrui, l’altro che cercherà in tutti i modi di seviziare la donna presa in ostaggio. Come spesso succede, questo tipo di film porta con sé la sottotraccia dell’abuso sessuale, che ovviamente prevede la presenza di un’attrice attraente, cosa che mi crea disagio perché sono attratto e pure disgustato. Film brutale dunque, che si concentra sulla tensione e sul rapporto tra i passeggeri chiusi in macchina, in una fuga estenuante; una sola traccia musicale per tutto il racconto, che sovrappone un ritmo martellante e angosciante con una melodia epica. Pare che esistano diverse versioni perché la casa di produzione fallì e il film non uscì mai nelle sale. Cattiveria messa in mostra, non si salva nessuno, neppure chi resta vivo.


“avevano paura di me. Paura di me, capisci?”: L’ULTIMO UOMO DELLA TERRA – ITA/USA 1964, 86’. Regia di Ubaldo B. Ragona, oppure di Sidney Salkow ( quest’ultimo non accreditato, mistero ). Tratto da “I am legend” di Richard Matheson. Opera davvero formidabile, semi-sconosciuta, capace anche di regalare autentici brividi e con un finale memorabile. Robert Morgan, uno scienziato, sopravvive da più di tre anni in una città deserta ( girato a Roma ), di giorno esce a fare rifornimenti e a eliminare i vampiri camminando fra i corpi inerti delle vittime dell’epidemia che ha colpito il mondo intero; di notte se ne sta barricato in casa ad ascoltare jazz per non sentire le voci dei vampiri che lo reclamano. Bisogna tenere da parte le considerazioni filologiche sui mostri in genere. I vampiri di giorno sono stanchi e di notte camminano come zombie, sono abbastanza stupidi, fuggono gli specchi, proprio perché si vedono forse, non sopportano l’aglio e vengono uccisi con un paletto di legno al cuore, oppure con aste metalliche, o anche sforacchiati dai proiettili. Morgan è immune ed ormai rassegnato a vivere ogni giorno come l’ultimo trascorso. Poi incontra un cane, e ancora una donna, la porta con sé ma è una trappola. Ci sono altre persone sopravvissute, in realtà sono contagiate ma grazie a un vaccino possono tenere a bada la malattia. Qui si risolve il film, e diventa ancora più grande, perché Morgan si ritrova ad essere braccato da questo gruppo di nuovi uomini, perché ne ha uccisi molti credendoli perduti e deve essere giustiziato. Se dal punto di vista visivo è grande l’impatto della città svuota, dei corpi distesi al sole, l’incredibile scenario cui si assiste, è in questo nodo il punto che mi ha fatto sussultare. Morgan sarà ucciso nonostante possa guarire gli altri, ormai ciecamente assetati di vendetta, e morirà incredulo di essere proprio lui, a far paura. Verrà braccato, e non sarà mai ascoltato. Non mi vengono le parole adatte, comunque più o meno la questione è che il racconto ( non ho letto il libro ) mette in atto un rovesciamento di sguardo: l’uomo combatte dei mostri, ma poi diviene lui il mostro, nonostante sia sempre lo stesso. Comunque la si metta, c’è un modo sbagliato di guardare alla differenza. Questa storia mette bene in luce il bisogno di conoscenza. Almeno il mio.

1 commento:

frogproduction inc. ha detto...

non ho visto il film e mi rifiuto di vedere quello con will smith (qualcuno l'ha visto? è così brutto come mi immagino?), ma il libro merita davvero!