Da Scienza e sentimento di Antonio Pascale.
“Una volta mi portarono un coniglio vivo come dono. Non
conoscevo ancora appieno gli usi e i costumi della civiltà contadina, tranne
quello che riguardava le offerte. Invece mio padre, da vecchio contadino poi passato
a lavorare all’ispettorato agrario, li conosceva molto bene e mi diceva sempre
di non accettare nessuna offerta in denaro ma di non rifiutare mai, dico mai,
le offerte in natura. Così presi il coniglio vivo e li ringraziai, ma non avevo
il coraggio di toccare quella bestiola
calda e li guardavo attonito. La mia impreparazione a gestire un
coniglio era palese, così uno di loro si alzò da sotto la quercia e disse:
<< Dottò, non vi preoccupate >>. Così tiro fuori dal suo taschino
una penna Bic e tolse sia il cappuccio sia l’anima per l’inchiostro. Si mise
l’astuccio in bocca, prese il coltello, si avvicinò a me, mi tolse il coniglio
dalle mani e girandosi solo un poco di spalle, con un movimento rapido, sgozzò
l’animale. Dopodiché appese la carcassa a un paletto. Inserì quello che restava
della penna Bic nel collo del coniglio e succhiò il sangue, e allo stesso modo
in cui si esegue un travaso di vino da una damigiana alla bottiglia. In breve
tutto il sangue del coniglio venne fuori e formò una piccola pozzanghera in
terra. Quando non restò nemmeno una goccia, il contadino coprì la pozzanghera
di sangue con della terra e passò poi a spellare il coniglio. Non ricordo
quanto tempo passò, fatto sta che mi ritrovai di nuovo il coniglio tra le
braccia. Freddo. Il contadino invece tornò a mangiare il suo panino prima di
mettersi di nuovo al lavoro. Il problema che mi posi, tornando a casa con il
coniglio fu: come si può infondere idee nuove ai contadini, abituati come sono
da millenni a compiere atti, anche violenti, senza sentire più il peso e le
responsabilità di questi gesti. Come si può allora cambiare le modalità di
produzione e virare per esempio verso tecniche meno invasive? La risposta non
la trovai allora e, onestamente, ancora oggi la ignoro. Forse, però, avrei
dovuto fare un’altra considerazione: è ingiusto accettare un dono, fosse esso
una mela, o un coniglio da un contadino, ignorando il fatto che ogni dono
nasconde una sofferenza. O meglio, ogni beneficio un rischio. Tanto è vero che
a casa, per il pranzo domenicale, il coniglio l’avevo mangiato con tutta la mia
famiglia, tranne mia sorella, perché dopo averle raccontato la modalità di
esecuzione dell’animale cominciò a diventare vegetariana.”
“Nonostante il coniglio sgozzato, credevo o fingevo di credere
alla categoria del naturale. I due contendenti, naturale e artificiale,
formavano in sostanza una semplice equazione: salute contro malattia, medicina
contro veleno. Dunque quando entrai nell’aula per frequentare il corso di
chimica agraria, avevo le idee ben chiare. Detta in breve dovevo rompere le
scatole al professore. E lo feci da subito. Stavamo parlando della struttura
dell’atomo e appena ne ebbi la possibilità, durante una pausa, chiesi al
professore, un vecchio chimico, un po’ ingobbito e con dei bellissimi capelli
bianche lucenti, se aveva senso un corso di chimica agraria, proprio oggi che
la chimica sta inquinando gran parte delle risorse naturali. Il professore di
chimica oltre ai capelli bianchi e lucenti aveva una strana caratteristica, non
guardava mai in direzione dei suoi studenti. Scriveva le formule alla lavagna e
girava lo sguardo verso di noi di pochi gradi, quel tanto che bastava per fare
arrivare la sua voce. Non dovevamo guardare lui, ma la lavagna, il senso della
postura era quello. In quella posizione, senza cercare nemmeno chi avesse fatto
la domanda rispose: NaCl, cloruro di sodio. Se, disse, prendete il sodio puro e
lo mettete nell’acqua causerete un’esplosione. Se mangiate il cloro morirete.
Se però il cloro si unisce con il sodio, si formerà cloruro di sodio, il
normale sale da cucina. L’obiettivo di questo corso è fornirvi degli strumenti
affinché possiate gestire due sostanze pericolose, e trasformarle in sale da
cucina. Altre domande? Non ero mica soddisfatto, ma non avevo altre domande.
Per il momento.”
Si dice della conoscenza come bisogno di lenire una ferita.
Può darsi. Mi ricordo che da bambino ero in imbarazzo di fronte ai miei
amichetti che tiravano fuori ogni possibile parolaccia a sfondo sessuale. Una
notte scoppiai in lacrime nel letto. Ero molto indietro quanto a teoria. Per la
teoria ( nello specifico e più in generale ) mi sono attrezzato sviluppando il
gusto della lettura. Il mio prof di composizione mi disse che da bambino non
sopportava di non avere un “orecchio” buono quanto quello degli altri e così si
sforzò per raggiungerli e superarli. Sempre da bambino, vidi con mio padre Caro
Diario, e fu bellissimo. Tutto, tranne la scena in cui il regista entra in un
cinema per vedere Henry – Pioggia di sangue. Quello fu tremendo. Insieme ad
altre scene forti mi perseguitò per molto tempo. Sarà per questo che ho
cominciato a vedere i film più violenti possibili. Cerco di arrivare al punto.
I libri di Pascale, che ho recentemente scoperto, hanno di bello che rimettono
in discussione un bel po’ di credenze, più o meno consapevoli, di chi ha
seguito un certo percorso culturale. Io sono di sinistra, abbastanza ignorante
( non sono neanche diplomato ). Abbastanza presuntuoso. Sono cresciuto leggendo
Repubblica. Anche Pascale compra Repubblica da molto tempo. È inutile girarci
attorno. Come molti spero, ho la pretesa di far parte di quelli che la pensano
nel modo giusto. Questo porta facilmente ad abbandonare lo sguardo critico. C’è
una scena perfetta in Sogni d’oro. In realtà, io parlo spesso di ciò che non
conosco, a cominciare dal cinema. Anche se poi cerco di scrivere “attorno” alle
cose. Pascale parla spesso di agronomia, che è il suo settore, e dunque di
scelte alimentari, che nel discorso pubblico sono diventate l’opposizione
biologico-ogm. E arriva anche a toccare un punto che provo a riassumere, e che
si collega finalmente a Palombella Rossa ( a proposito, ecco una lettura particolare
). Il protagonista del film ha smarrito la memoria ed è ossessionato dal suo
bisogno di sentirsi accettato, di far vedere che è uguale agli altri, però
diverso; e il partito con lui. A cosa ci si attacca, in un periodo di
confusione, di affanno, mentre ci si sbraccia e si scalcia per restare a galla?
Ai miti. Ai bei tempi andati. Pure i film di Moretti subiscono lo strano
destino di venir citati spesso, e magari sono già divenute citazioni amebe,
come le parole amebe, per usare l’espressione di Uwe Porksen ( richiamato da
Pascale ).
Bonus track: ( che era poi l’impulso iniziale, ovvero il privilegio di poter leggere o ascoltare musica, e di scrivere )
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