Premessa doverosa.
L’ho visto due volte, prima al cinema poi a casa. Per rivederlo con più calma.
La visione fu in un cinema all’aperto, in mezzo ai lamenti e agli sghignazzi. È
troppo lungo, quando finisce, che significa questo, che significa quello. Una mia
amica ( fresca rosa aulentissima, motivo principale di distrazione e agitazione
interiore, bella e impossibile come le rovesciate, che quasi uno si accontenta di
prendere il pallone e sognare, nell’attimo in cui si ricade a terra e la botta
fa male al cuore ) ha provato a chiedere ad una signora se per cortesia poteva
far stare buone le sue bambine, e si è sentita rispondere che tanto i dialoghi
non c’erano.
Nota alla locandina. Ho
scelta quella con il piede di un neonato in omaggio a Gaia, nata da pochi mesi,
mia nipotina. Così se ancora le sue foto non sono state messe su face book
l’ingresso nel world wide web è assicurato.
THE TREE OF LIFE – USA 2011, 139’ . Regia di Terrence
Malick.
Un inno alla vita. Un maestoso, ambizioso inno alla vita. Un
viaggio attraverso continui salti tra le vite dei personaggi, tra l’evolversi
dell’universo e della Terra, ogni stato che si rinnova, ogni esistenza legata
all’altra dall’energia, e prova a dire l’autore, dalla grazia, da Dio. C’è una
famiglia, cui sappiamo sin dalle prime battute che incontrerà il lutto, la
perdita di uno dei tre ragazzi all’età di 19 anni, nell’America anni ’50 delle
messe ogni domenica e dei padri padroni; i momenti di crescita dei bambini, i
loro giochi con la madre che è uno splendore e gli scontri con il padre (
musicista fallito dice lui: i musicisti non falliscono mai ) che esige di
essere chiamato “Signore”. C’è la natura, osservata spesso dal basso verso
l’altro, posando lo sguardo lungo i fusti degli alberi, attraverso i fili d’erba,
verso il cielo, perfino sott’acqua. Lunghe sequenze per raccontare la nascita
delle stelle e dei pianeti, i primi esseri viventi, i dinosauri e infine
l’uomo. Poi le anime, tutte assieme, finalmente assieme per darsi gli abbracci
che mancavano e dimenticarsi dell’odio trasmesso inutilmente. Ora: passata la
sbornia dell’emozione, delle lacrime post-capolavoro, degli stati d’animo
attraversati come se invece di due ore e passa fossero passati anni, dovrei
fare degli accenni su alcuni aspetti tecnici, com’è d’uopo ( sì, d’uopo ) in
questi casi. Per fortuna non faccio il critico e quindi mi limito a dire che ho
trovato perfetto il modo di seguire i personaggi con la macchina da presa, come
in una danza, nei giochi domestici come nelle arrampicate sugli alberi. Il film
alterna tre scenari: quello principale della famiglia, quello del figlio
maggiore ormai adulto che ripensa alla sua vita nel mondo moderno e quello più
naturalistico tipo super quark per usare una similitudine almeno chiara. Le
voci fuori campo dei protagonisti legano il tutto. C’è un’armonia iniziale, la
famiglia, rotta da un lutto, poi si torna indietro a scoprire le altre magagne,
la durezza del padre e la ribellione del primogenito, la sua scoperta
dell’odio. Come potrebbe dire “Quèlo” la domanda non è tanto chi siamo dove
andiamo eccetera, ma piuttosto come direbbe un altro “Che fare?”. Posta la
nostra vicenda in un turbinio di eventi macrocosmici come abitiamo i nostri
spazi, cosa ne facciamo della nostra energia? La risposta del film è affidata
alla voce della madre: vivere amando, meravigliandosi, sperando. Quando il
primogenito ( Sean Penn ) si ritrova a camminare alzando lo sguardo in mezzo ai
grattacieli c’è un momento in cui si accorge di ciò che lo circonda e sorride.
Uno di quei momenti speciali che a volte càpita di incontrare, un lampo di
gioia. Ve ne racconto uno: qualche anno fa stavo andando in motorino per la
campagna dalle mie parti e canticchiavo un po’ a voce un po’ mentalmente
“Otherside” dei Red Hot Chili Peppers. Verso la fine della canzone c’è uno
special in cui la tensione aumenta fino a sfociare nell’assolo distorto di
Frusciante John, ed è il momento che più mi piace della loro musica ( ho molti
dei loro dischi, regolarmente acquistati ). Bene, stavo percorrendo una salita proprio
mentre cantavo lo special, dunque tensione su tensione, e meraviglia delle
meraviglie scollinai sull’assolo di Frusciante con il sole rosso fuoco dei
tramonti in faccia con una coincidenza oserei dire magica, e davvero in
quell’attimo avvertii una gioia ricca, elettrizzante, piena di vita.
Dimenticavo: le musiche, originali e non. Da ascoltare e riascoltare. C’è molta
classica e mi pare anche sacra, ed è da brividi. Film lungo, rece lunga.
5 commenti:
( fresca rosa aulentissima, motivo principale di distrazione e agitazione interiore, bella e impossibile come le rovesciate, che quasi uno si accontenta di prendere il pallone e sognare, nell’attimo in cui si ricade a terra e la botta fa male al cuore )
esiste qualcuno che scrive una cosa del genere, pensandola? o la scrive per scriverla?
@ anonimo
scrivere per scrivere no, immagino che si scriva sempre per qualcuno, a parte i diari o non so che. Cos'è che trovi sbagliato o ridicolo o altro?
nè sbagliato, nè ridicolo. molto bello. TROPPO molto bello
un po' ho anche barato. L'inizio viene da Rosa fresca aulentissima di un certo Cielo d'Alcamo, ( XIII sec.) poeta siciliano. La sua è una cosìdetta poesia giullaresca, anche se usa sia il linguaggio popolare che colto, il tutto a detta degli esperti, di mio ho solo sfogliato un libro di letteratura per le scuole superiori. Nella poesia c'è un dialogo fra un giullare che ce sta a provà e una donna che resiste resiste ( minaccia di farlo menare dai suoi, estiqatsi dice lui, c'è una legge che me rimborsa ) ma poi cede non tanto alle sue belle parole, ma alla sua insistenza. Assedio prima dell'era-stalking
va be', hai preso proprio la parte vera e necessaria di tutto, nel senso che il resto neanche mi ci sarei messo a pensarlo
le rovesciate poi da piccolino mi venivano anche bene
seeeeeee. :) mo ti posso far passare l'amor Scortese, ma che facevi le rovesciate... no.
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