(Nota del tenutario del blog: si vede che in questo periodo sto facendo una fatica cane ad aggiornare questo blog? Sto lavorando molto e disegnando e scrivendo piuttosto poco. Meno male che ci sono gli amati collaboratori, che ringrazio sentitamente. E poi, che fine hanno fatto i commentatori? Boh. E dire che a visite andiamo come al solito, e col minimo degli sforzi.)
“¿Quién puede matar a un niño?”: MA COME SI PUÒ UCCIDERE UN BAMBINO? – SPA 1976, 110’ . Regia di Narciso Ibàñez Serrador. Sorpresa, davvero. Che poi magari avendo solo annusato i grandi autori di fantascienza mi stupisco con poco, eppure almeno per il versante cinematografico penso che questo film sia fra i migliori in circolazione. C’è un’introduzione da cinegiornale, che riporta i fatti di Auschwitz, la Guerra indo-pakistana, scene dal Biafra e ancora il Vietnam, intervallati da una nenia e da risate di bambini. Il riferimento è ai milioni di bambini uccisi o morti durante gli eventi mostrati. Poi comincia il film vero e proprio: una coppia di inglesi, Tom ed Evelyn, incinta del terzo figlio, arrivano a Beñavis, Spagna, per approdare poi sull’isola di Almanzora. Giunti sull’isola arrivano i primi segnali di qualcosa di strano. Le strade sono deserte, i due entrano in un bar che sembra abbandonato all’improvviso, con la televisione accesa e il resto in funzione. Finora hanno solo visto alcuni ragazzini pescare o camminare. Il film arriva piano al dunque ma poi ripaga l’attesa, e si lascia il meglio per il finale. Girato in larga parte alla luce del sole accecante, si rivela una sorta di western con i due inglesi in trappola. I loro cacciatori festanti, con il sorrisetto oppure imbronciati, che dapprima li osservano in silenzio, gli camminano affianco, si riveleranno spietati e organizzati. Uccidono così, tra un tuffo al mare e un giro in barca, giocando a fare i grandi, in attesa di prendersi il mondo.
“date alla gente quello che vuole vedere!”: TESIS – SPA 1996, 125’ . Regia di Alejandro Amenábar. Film che ha un buon impianto di partenza basato su di una linea narrativa meta-cinematografica che però si perde per inseguire la via del thriller ( per non smentire la frase chiave ). La protagonista, una studentessa di cinema, vuole fare una tesi sulla violenza negli audiovisivi, è attratta ma restia ad avvicinarsi a quel genere di immagini. Così conosce un altro studente, uno simpatico-antipatico che è appassionato di porno, horror e pure snuff movies, che può aiutarla nella ricerca del materiale per la tesi. Scoprono una cassetta che contiene l’omicidio di una ragazza, cominciano ad indagare e finiscono con l’imbattersi nell’assassino, anch’egli studente di cinema. Poi lei si innamora di lui, l’altro di lei, lui continua ad ammazzare, ci sono di mezzo i professori e si finisce al telegiornale. C’è una bella scena: quando la ragazza va a conoscere lo studente dall’aria alternativa, appassionato dei film di genere, i due stanno un po’ sulle loro; poi quando sono di nuovo vicini, ognuno ascolta della musica con il walkman per conto proprio, e c’è un alternarsi di sguardi in soggettiva con in sottofondo le due musiche ascoltate; rock lui, classica lei J, fino a che non decidono di collaborare.
“…e tu credi di poter trovare il sangue di una vergine per strada in meno di un’ora?”: IL GIORNO DELLA BESTIA – SPA 1995, 103’ . Regia di Álex de la Iglesia. Dissacrante. Vale la pena però solo la prima parte. Un prete scopre fra i vangeli una profezia e si convince di dover vendere l’anima al diavolo per poterlo incontrare ed eliminare, così da evitare l’apocalisse. Parte per Madrid combinandone di ogni, con un walkman al posto della bibbia sotto il braccio. Coinvolgerà un metallaro gestore di un negozio di dischi e un ciarlatano di quelli della tv, durante la notte di Natale, in mezzo alla confusione della festa, il diavolo che c’è e non c’è, e una banda di teppisti che ammazza i barboni al grido di “limpia Madrid”.
“che cazzo ci fa un cinese in una guerra spagnola?”: LA SPINA DEL DIAVOLO – SPA/MEX 2001, 106’ . Regia di Guillermo Del Toro. Storia intensa, produzione pregevole, c’è spazio anche per qualche brivido, ma vale per l’insieme. Nella Spagna anni’ 30, in piena guerra civile, un bambino, Carlos, viene affidato ad una specie di orfanotrofio in cui vivono una signora con il marito e alcuni aiutanti, fra cui una giovane coppia, Conchita e Jacinto, il cattivo del film, a sua volta cresciuto nell’orfanotrofio, che assomiglia a quelle vecchie missioni, con le mura, la piazza, insomma un piccolo villaggio fortificato. La storia principale è quella di Carlos, ragazzino avventuroso e colto, sta leggendo le avventure a puntate del Conte di Montecristo, che fa la conoscenza di un fantasma. Anche altri bambini avvertono “la presenza”, ma Jaime, il più grande del gruppo non vuole che lo si nomini. I due custodi dell’orfanotrofio Casares, uomo di scienza e poeta, impotente, e sua moglie Carmen, con una protesi alla gamba, e la vergogna con cui tradisce il marito, e infine il cattivo, Jacinto, principe solitario prigioniero nel suo male. C’è una bomba inglese inesplosa al centro della piazza, altra minaccia incombente, assieme al fantasma e alla cattiveria di Jacinto, che vuole l’oro nascosto, l’oro della causa rivoluzionaria, per cui vengono messi gli uomini al muro, pronti a ricevere un colpo alla nuca, e fra di loro c’è pure un cinese.
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