SHORTBUS – USA 2006, 101’ . Regia di John Cameron Mitchell. VM 18.
Lo Shortbus è un locale dentro New York, pieno di colori di gente allegra e disinibita, gente che scopazza senza stare a disquisire, sesso razza o religione, e musichine delicate e giochi e gruppi di autocoscienza femministi e via via ensemble il posto ideale per festeggiare la vita le crisi e la gioia ritrovata, clap clap ottoni e finale in crescendo come un videoclip Gogol Bordello. Il film si distingue per una particolarità rispetto alle normali pellicole: le scene di sesso. Sono vere! Sì; vere. Cioè un pornazzo con la trama? No, un film che parla di vita di coppia che abbisogna di carne in evidenza sennò non è la stessa cosa ( come descrivere tre maschioni che fanno il simbolo del riciclaggio? ). Ci sono tre storie, una terapista delle coppie che non riesce a raggiungere l’orgasmo con il suo partner, due uomini che si amano molto ma uno di loro è depresso e cerca di farsi fuori, e una giovane che non riesce ad avere relazioni se non attraverso il lavoro di boh? Frustatrice per uomini che non ne hanno mai abbastanza a domicilio. Dopo un inizio divertente assai, i problemi seri vengono fuori e il tutto è trattato con un tocco appropriato, con i giusti toni di malinconia e frustrazione, le storie si intrecciano all’interno dello Shortbus e ognuno proverà ad aiutare l’altro, a tenersi compagnia, si faranno nuove conoscenze e in un modo o nell’altro passerà, cantandosi l’un l’altro la meraviglia di ‘sta canzone.
ICHI THE KILLER – JAP 2001, 129’ . Regia di Takashi Miike. VM18.
Gente tagliata in due ( verticalmente ), infilzata de spilloni, lingue tagliate e braccia strappate. Comunque. Takashi Miike è un regista mega stra qualunque cosa, gira diversi film all’anno e ne vado pazzo; pure lui pazzerello lo dovrebbe essere. Non è che riempie i suoi film di violenza e perversioni, sarebbe poca cosa, oppure di movimenti di macchina strambo chic, no. Cioè, anche, ma non fermiamoci a questo ( beh, in verità fate come vi pare, ci mancherebbe ). Tratto da un manga, Ichi the Killer è una lotta all’ultimo respiro tra un sadomasochista fuori di testa, Kakihara, con la mascella tenuta assieme dai piercing, che butta fuori il fumo delle sigarette direttamente dalle guance, e Ichi appunto, complessato da un’ipnosi, che si eccita quando violentano le donne, piagnucola se viene aggredito salvo poi trasformarsi in una macchina trincia tutto. indossa pure una tuta da motociclista con il numero uno stampato sulla schiena. In mezzo c’è una storia di lotte fra bande ( ci sono pure i sindacati delle Yakuza ), un capo che sparisce con i soldi, una tipa che pronuncia una frase in Giap e una in English, l’ipnotizzatore culturista cinese, degli strafattoni che si credono cani e mi pare possa bastare. Il tasto negativo per quanto riguarda l’aspetto emotivo, è che con le donne ci va giù pesante.
THE KILLER INSIDE ME – USA 2010, 109’ . Regia di Michael Winterbottom.
Dunque, c’è questo giovane sceriffo, tratteggiato alla grande ( onestamente io di recitazione non me ne intendo, il film l’ho visto in originale, Casey Affleck mette su un filo di voce che pare sussurrare ogni volta una massima di vita e va bene così ), che mentre ascolta Richard Strauss e Gustav Mahler, gioca a scacchi, studia matematica, psicoanalisi, accenna un blues al piano e chissà cos’altro, riconosce che non può fare a meno di ammazzare le sue donne. A pugni ( distogliete lo sguardo! ). Nel placido Texas, che è tutto un proverbio un inchino un “lo apprezzo molto”, Lou Ford, lo sceriffo, preso in un inghippo di malcostume, perde la testa per una prostituta e oltre ad ammazzarla architetta il tutto per non farsi arrestare, poi le cose si complicano e questo richiederà altri omicidi e avanti così fino al finale. Il film è tratto da un noir di Jim Thompson. Gira tutto intorno a questo uomo, le immagini e la musica rispecchiano attentamente il suo essere, che non è cupo, è inesorabile, è roso dentro; è capace di amare e di coccolare, però poi colpisce in un modo che nessuno ci crede, non è possibile. Non un filmone, a tratti quasi, mette a disagio per la brutalità di alcuni momenti.
1 commento:
i tre uomini che fanno il simbolo del riciclaggio mi ha fatto morire, grazie.
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