Premessa doverosa e
imbarazzata: Ebbene sì, anche io talvolta faccio scorrere le immagini
velocemente per saltare i pezzi noiosi. Sarà il caldo di fine luglio, il sonno
che avanza, i film che vedo. In sostanza ho dato fondo ( naturalmente è
impossibile, vedi una cassetta e ne registri due ) ai resti di nottate passate
a reccare Ghezzi fuori sincrono.
Visto per la gran parte di pomeriggio dopo aver inserito la
modalità Tour de France ( d’ora in poi TdF ). Il TdF non è una manifestazione
che si segue alla tv come il calcio o le corse, oppure la pallacanestro, la
pallanuoto, il tennis. È una sorta di pennichella estiva prolungata di circa
tre ore, cullati dalle voci dei cronisti; purtroppo Bulbarelli è passato dietro
le quinte ma rimane Cassani, con la sua erre un po’ francese a spiegare i
rapporti delle catene e tutto lo scibile ciclistico, compresi i piazzamenti di
ogni corridore dal primo triciclo in poi ( sospetto che in realtà il ciclismo abbia
una cosmogonia abbastanza flessibile per cui ogni ciclista ha una biografia
possibile, con corse e vittorie personalizzate ). Non è che bisogna guardare il
TdF ogni minuto, ci si stende sul divano, magari ogni tanto si sgranocchia
qualcosa e si aspetta; un occhio ammirato al paesaggio, magari un pensierino di
passarci le vacanze ( meglio ancora leggendo un articolo di Gianni Mura );
rilassati, fino alla fine. Se c’è un momento importante avvertono i
commentatori alzando il tono di voce. Ecco, il tono di voce è il problema
principale del rischio di seguire i film con tale modalità. Nel caso del film
in questione, quasi totale assenza di sonoro e accenni di voce sempre cortesi (
en française ), l’abbiocco completo è un pericolo costante. Il film è diviso in
capitoli, dai titoli naturalistici, e qua e là una voce spiega il perché del
giorno e della notte, le piogge e i venti, ma a livello di prima elementare.
Abbondanza di inquadrature fisse su scorci, paesaggi, fiumi, viottoli,
sentieri; poi interni di case, cucine, letti, orologi, lavelli, armadi. Spesso
ad inizio capitolo ci sono dei turisti. I momenti più vivaci sono stati due
filmini di repertorio che riprendevano momenti di vita di alcune signore, i
panni stesi al sole e cose così. Mentre lo stavo vedendo sul 3 davano Caterina va in città – ITA 2003, 90’ . Regia di Paolo Virzì, film
che mi piace sempre rivedere tranne nei momenti in cui il personaggio di
Castellitto si rende ridicolo, cosa che mi provoca un senso di vergogna
insostenibile ( giuro! ) e devo distogliere lo sguardo. La valle chiusa mi sà
che siamo davvero in pochi ad averlo visto, riaffiorerà ogni tanto come gli
amori sconfitti sul nascere, narrati con perizia da Cassani e Bulbarelli come
le fughe dei giovani solitari ripresi sempre a pochi metri dall’arrivo. Ci
avevano creduto, ci si crede sempre quando si parte, poi ti superano e resti a
guardare.
THE EMBRYO HUNTS IN SECRET – Jap 1966, 72’ . Regia di Kôji Wakamatsu.
Tutto in una notte. Pioggia battente, “non qui, andiamo in
casa”. La casa non è arredata, qualcosa non va. La ragazza fa la commessa, però
arrotonda con “il più antico” eccetera. L’uomo è pazzo, decisamente; è anche
impotente o sterile, ma soprattutto è pazzo. Piange la mamma e la moglie fatte
a pezzi in passato, oppure sono scappate ( nella follia non si capisce ), e
vorrebbe ricominciare con questa nuova. La lega, la frusta, la ricopre di
monologhi deliranti sui cani, la riduce a schiavetta a quattro zampe. Finché dura. Cos’è che mi è
piaciuto? Mah, direi le prime scene, alcune inquadrature. Strano il commento
musicale, quasi sinfonico, per un film girato tutto in poche stanze. L’inizio
invece bello, con una cantata rinascimentale ( mi ha ricordato il furbetto Lars
di Antichrist ). Estenuante, pure lo avevo visto qualche anno fa.
VICINO AL MARE
AZZURRO – URSS 1936, 71’ .
Regia di Boris Barnet.
Yussuf e Aliosha ( in genere la “h” diventava “k” )
approdano in un Kolchoz ( chiamato Luci del comunismo, i collettivi di lavoro
in pratica ) del Mar Caspio, per lavorare come marinai e meccanici; si
innamorano della stessa donna, che però rimane fedele al suo fidanzato
temporaneamente lontano per la guerra. Un po’ di scazzi, alla fine se ne
tornano a casa. Bello il mare, con la luce che pare oro. Bello visto dal mio
schermo piccolino che pare un oblò. Bella la gente, coi fisici asciutti e gli
occhi vispi.
SOTTO IL SEGNO DELLO
SCORPIONE – ITA 1969, 100’ . Regia di Paolo e Vittorio
Taviani.
Strano film, davvero. Un gruppo di uomini che fugge da
un’isola devastata dal terremoto e dal vulcano si rifugia in un’altra isola. Trovano
una comunità ben avviata che cercano di convincere che la cosa migliore sia partire
per il continente, per costruire lì, senza più vulcani di cui aver paura. Non
sappiamo nulla di loro, la musica spesso copre quello che dicono, si colgono
frasi qua e là, intenzioni, raggiri, violenze improvvise scandite da rumori
fortissimi, sirene impazzite. Il compositore è Vittorio Gelmetti ( collabore
per l’elettronica in Deserto Rosso ), uno di cui vorrei poter ascoltare più
cose, ma sono difficili da trovare. All’inizio sembrava un film sulla lotta
all’ultimo sangue, l’istinto di conservazione, poi invece no. Generazioni a
confronto. Padri contro figli. Mistero.
2 commenti:
sto blog si è definitivamente smosciato
hai ragione.
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